Pubblicato il 9 settembre 2015 in http://vecchiatoart.blogspot.it
Quando ci si avvicina ad un’opera d’arte la prima cosa che si usa è il verbo “vedere”, gli occhi sono il primo strumento di lettura per decodificare quello che è proposto dall’artista.
Assaggiare visivamente un quadro, una scultura, un oggetto è la prima vera sensazione che è offerta nelle primarie e istintive emozioni.
Per l’arte contemporanea spesso la vista non è l’unico mezzo per comprendere appieno ciò che si vede. Udire non è sentire, vedere non è guardare, si richiede, infatti, uno sforzo maggiore per annoverare tra le esperienze sensoriali quello che è presentato ai sensi.
Non sempre ciò che si sente è piacevole, non sempre ciò che si vede è stimolante.
Ai sensi è richiesto uno sforzo intensivo per capire maggiormente quali percezioni mettere in moto: per il credente una tavola del Quattrocento raffigurante una Madonna con bambino fa scaturire emozioni legate al culto e alla fede, alla preghiera rivolta verso un’icona che simboleggi speranza e ritrae la viva devozione; una scultura può far scattare la voglia di toccare la carne viva riprodotta fedelmente nel marmo, mimesi della realtà; un racconto mitizzato e fantastico prende vita nelle tele di un artista che ricrea l’immaginifico grazie ai colori e alle forme.
Questo quando si parla di arte nel senso classico del termine, ma quando ci si accosta al mondo artistico moderno i sensi vengono stimolati e resi partecipi in altro modo: non si guarda solamente, si interviene attivamente con sensi che di fronte all’arte finora sono rimasti sopiti.
Olfatto: dove per mezzo di profumi e odori si innescano sensazioni che stimolano la mente, come nelle opere concettuali di Piero Manzoni in Fiato d’artista (1960) o come l’enorme tappeto di fiori del Padiglione Olanda all’ultima Biennale d’Arte di Venezia.
Gusto: ancora Piero Manzoni e il suo Mangiare l’arte, performance che richiedeva alla spettatore di mangiare un uovo sodo precedentemente firmato con l’impronta digitale dell’artista, citando poi gli artisti che usano il cibo per esprimere concetti, formulazioni e pensieri non nel comporre visivamente ma nel saper far “gustare” l’arte attraverso tavole imbandite come nel caso di Daniel Spoerri o alle formulazioni di Fluxus e di Joseph Beuys o, più recentemente, a quelle di Félix Gonzalez-Torres, Tiravanija, Rakowitz e Lee Mingwei.
Udito: le performance sonore di John Cage e ancora prima gli Intonarumori di Luigi Russolo, la serie di suoni che accompagnano e sottolineano con musiche e rumori i video artisti, come Bill Viola e Chris Cunnigham, che spronano ad esaltare attraverso la sensibilità musicale la visione delle opere.
Un quesito di fondo per tutte quelle mancanze sensoriali che vengono a difettare: cosa succede quando i sensi non ci sono? Quale percezione subentra quando si è stimolati ad usare altri sensi? Com’è recepito il solo “togliere” la visione delle cose quando mancano ad esempio il senso della vista o dell’udito? Opere d’arte alle quali è chiesto di chiudere gli occhi per sentire il rumore o gli odori, ma allora come percepiscono i colori, le forme, i rumori, i suoni chi è veramente mancante dei sensi?
Come “vede” un quadro una persona cieca? Come “sente” un video musicale un sordo? L’arte si fa settoriale ancora di più quando non è data la possibilità di viverla nella sua pienezza? Decodifiche continue, simbologie da decifrare, pensieri e storie da interpretare, il mondo contemporaneo richiede sempre più un intelligente sforzo emotivo e sensoriale allo spettatore, dove spesso si deve fare i conti con un mondo globale che cambia e richiede attenzione perché nessun handicap toglie lo spazio alla percezione artistica.
Si, percezione artistica, non si parla più di arte della visione ma di percepire, attraverso i sensi, per mezzo della mente e non ci si accontenta più di “vedere” o “ascoltare” ma di saper ascoltare attraverso la vista o di riuscire a vedere attraverso l’ascolto.