Memore delle lezioni dei maestri del passato e della ricerca compiuta negli anni, Silvia Scuderi si presenta all’occhio dello spettatore come una “viaggiatrice visiva” che ha portato con sé l’esperienza di un presente fatto di memoria, di visioni oniriche, di immagini che rimandano alla natura attraverso vedute paesaggistiche e particolari naturali in una immersione totalizzante che fonde cielo e terra, il visibile e l’astratto.
Corsi d’acqua che si specchiano tra le fronde di una flora ribelle e prospera, rocce che sedimentano secoli e stratificazioni del tempo, paludi e canneti, spazi immensi contrapposti a sguardi che occupano tutta la tela mostrando, a volte, un particolare riconducibile ad una natura di più ampio respiro.
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Natura!
Ne siamo circondati e avvolti – incapaci di uscirne, incapaci di penetrare più addentro in lei.
Non richiesta, e senza preavviso, essa ci afferra nel vortice della sua danza e ci trascina seco, finché, stanchi, non ci sciogliamo dalle sue braccia.
(Goethe)
Nella storia dell’arte si parla spesso di natura e la data del 1874, nascita dell’Impressionismo, prende il nome da un quadro di Claude Monet “Impressione al levar del sole“, un paesaggio naturale appunto. La natura è presente nella ricerca artistica nel corso dei secoli e la scelta della ex Corte Benedettina di Correzzola è stata fondamentale, in questi luoghi, posti che pulsano di storia e vita con le terre bonificate e strappate al mare, si respira un legame speciale tra l’uomo e il paesaggio: l’ansa del fiume Bacchiglione, i campi attorno, un’oasi che ben testimonia un panorama naturale un viaggio nelle terre venete.
Pubblicato il 21 febbraio 2017 in http://vecchiatoart.blogspot.it
Quando muore un artista contemporaneo c’è sempre qualcosa di strano che si insinua nel cuore, tutti ne parlano, escono i giornali, i social network si arricchiscono di foto dello scomparso e dei suoi lavori e si instilla nella mente un percorso che mette in moto i ricordi di cose che ha fatto, le parole che ha detto, le opere che ha creato, i testi che sono stati scritti e un pezzo di storia e di vita, se ne vanno.
Sopravvive il ricordo, rimangono indelebili i suoi lavori e le innumerevoli attese da parte del pubblico per una prossima mostra o di un testo che lo rievochi, ora invece, con la morte, tutto viene rivalutato e rivisto sotto un’altra ottica: si rispolverano i suoi lavori, si rileggono le cose scritte che hanno accompagnato il suo lavoro, si pensa in maniera veniale quanto possa costare adesso una sua opera poiché c’è sempre la convinzione che, dopo morto, il prezzo possa salire e il mercato impennarsi.
La creazione di un’opera da parte di un artista si concentra in ogni suo passo attraverso una fase emozionale che si esplica poi nella visione finale posta agli occhi dello spettatore.
La creazione è fantasia, è rapporto interiorizzato che trova nei materiali e nelle materie la sua univoca manifestazione, l’oggetto scultoreo diventa un tocco, un segno che si blocca e che si crea, si plasma fino ad essere tangibile e palpabile.
La creazione è quindi la base della scultura e della produzione dell’artista ungherese Tibor Szemenyey-Nagy, è la viva presenza di una sacralità che sfocia nel mondo mistico in cui la vibrazione dei sentimenti e dell’anima arrivano ad un colloquio interiorizzato con il fruitore.