Capita spesso di doversi confrontare con l’immagine di noi stessi riflessa in uno specchio: al mattino appena alzati a rimirare un volto assonnato, mentre ci si prepara per affrontare la giornata, quando ci si veste e ci si controlla se quella camicia si abbina alle scarpe e infine una rapida occhiata prima di uscire di casa nello specchio d’entrata prima di prendere il mazzo di chiavi e chiudere poi la porta.
Bene. Si può senz’altro dire che le giornate cominciano con uno sguardo verso di sé e in tal modo spesso finiscono alla stessa maniera: ci si strucca, ci si lava i denti, una visione d’insieme ad una faccia stanca dopo la giornata di impegni e lavoro e poi a letto.
Gesti quasi automatici che regolano le giornate, visioni d’insieme del nostro io esteriore: ecco che serve uno specchio che riflette il quotidiano da vivere o già vissuto, giorno e notte che si alternano.
Quello che si diffonde è il nostro volto, la parte esterna di noi stessi, ma cosa succederebbe se ci fosse uno specchio per l’anima, per le emozioni, per i sentimenti che possano essere resi visibili attraverso un riflesso recepito poi dai nostri occhi?
Uno specchio di tal caratura e potenza in realtà esiste, le immagini interiori o sognate e concepite con la fantasia si trasformano in atti che sono poi visibili a tutti, tutto ciò che l’anima, la parte più sensibile ed emozionale dell’uomo fa scaturire, si ritrova poi nelle arti, nella musica, nella letteratura, in tutto ciò che solo l’Uomo può creare riflettendo con lo specchio interiore il risultato che si riconosce nelle opere create.
Perché gli artisti in qualsiasi momento della loro vita arrivano a realizzare autoritratti guardandosi, appunto, allo specchio? L’immagine riflessa non è che la mimesi della realtà, spesso restituisce i difetti o i pregi di chi si ritrae, è la visione del primo modello storico con il quale si viene a contatto e si riporta sulla tela, nella scultura, nei video.
Nel corso della storia dell’arte gli artisti si auto ritraggono e riportano i loro tratti come segno e presenza visiva tangibile, quasi una sorta di impronta per i posteri: il volto nascosto tra la folla di Giotto nel Giudizio Universale nella Cappella degli Scrovegni a Padova, i ritratti di Albrecht Dürer, le numerose espressioni dipinte nel corso degli anni di Rembrandt che segnano il passaggio del tempo, il pittore nascosto che osserva la scena come Jan Van Eyck o Diego Velazquez si scova rispettivamente nelle tele Ritratto dei coniugi Arnolfini e La Meninas.
Biografie visive che si esplicano nei colori e nelle forme di artisti che lasciano un segno del loro passaggio nell’arte come nelle opere di Frida Kahlo in cui si lascia trasparire la sofferenza, il dolore e i drammi interiori, le stesse emozioni che si completano nelle tele di Francis Bacon.
Gli esempi sono numerosi, in special modo nel mondo contemporaneo, con la consapevolezza della potenza emotiva data dal corpo e dalla visione di sé, basta citare una lunga sequenza di nomi che hanno messo in atto il corpo e la propria faccia come moderno autoritratto allo specchio: Marina Abramovic, Maurizio Cattelan, Luigi Ontani, Cindy Sherman, Gilbert & George, Franko B, Pablo Picasso, Andy Warhol, Mario Schifano, Vito Acconci.
Tra la performance e il selfie contemporaneo, il gioco è labile: guardare e farsi guardare, guardarsi.
Lo specchio non mente e riporta l’immagine rifratta del volto che vi si riflette, a volte con modalità narcisa, altre ipercritica, un gioco con se stessi, un turbinio emozionale che investe gli spettatori che ricopiano, rivedono, sentono una parte di sé vicina al (auto)ritratto che vi si specchia.
“Dancing whit myself“, ballando con me stesso, è il titolo della mostra presente nel 2018 a Venezia presso Punta della Dogana alla Fondazione Pinault, un excursus contemporaneo del ritratto, o meglio, della visione di se stessi come artisti e uomini del proprio tempo, è la consapevolezza di attivare una raffigurazione dell’uomo oggi che abbisogna di certezze e di autoconoscenza per avere un posto in un mondo che chiede sempre più una visibilità di individualità.
La voglia di apparire, di esserci, si denota nei social network e nel dilagare di selfie ballando con il proprio io, con se stessi, davanti ad una videocamera, ad uno specchio, rimanendo consapevolmente ingabbiati nell’immagine di un sé che si riflette, a volte vero, a volte falsato da filtri e luci che ne alterano la realtà.
In fondo, l’arte è anche questo: la ripetizione di una mitigata mimesi del reale, solo uno specchio, uno specchio riflesso.