No, il titolo non si riferisce a qualche nuovo film giapponese presente nelle sale di qualche festival internazionale di cinema, non è neppure un nuovo manga o un anime di successo, né un nuovo tipo di sushi, Hikikomori è il nome che si dà ad una sindrome giapponese tutta contemporanea che ha cominciato a varcare le soglie dell’isola nipponica e si è diffusa un po’ ovunque.
È contagiosa? No, affatto. È forse peggio…
Hikikomori in giapponese significa “stare in disparte“, è un isolamento sociale volontario, il termine si riferisce alle persone invisibili, coloro che non si espongono, non escono dalla loro dimensione e dalla loro camera da letto.
Il rifiuto primario per gli Hikikomori è quello di non uscire, di non avere rapporti sociali, di non stare con la gente e relegano tutto all’interno del loro spazio recluso in una stanza dove mangiano, dormono, leggono, giocano e navigano su Internet e, cosa più importante, proteggono in primis loro stessi dal giudizio altrui e dal mondo esterno.
È un atto di difesa verso un mondo che hanno paura di affrontare, spesso si pretende troppo e si chiede di non sbagliare mai, di essere sempre perfetti, precisi, esemplari, non sono ammessi errori: eccellenti a scuola, realizzati professionalmente, belli e sempre sotto pressione.
Il fallimento non è contemplato! Tutto è sotto controllo e si aggredisce in questo modo la paura di aver paura, di sbagliare e allora il modo migliore quando non si regge al confronto è quello di scappare, da tutto, e di rifugiarsi nell’unico posto dove si trova sicurezza: la stanza da letto.
Questo fenomeno è sempre più collegato alla nascita delle nuove tecnologie, già presente in passato, si è acutizzato nei decenni e, se da un alto, si avvicinano le persone e abbattono le distanze, dall’altro invece le allontanano.
La società ora non accetta i fallimenti, non ammette la vergogna dello sbaglio, la possibilità che ci possa essere una caduta e una conseguente ripresa.
Non è depressione quella che è diagnosticata, ma la paura delle difficoltà e delle delusioni da cui spesso non si torna indietro, assenze emotive e pressioni sociali ne sono i condimenti.
La pazienza è l’unico antidoto, si deve e si può affrontare tutto, anche gli sbagli, questo vale per tutte le categorie e, se rapportato al mondo culturale e artistico, bisogna sempre avere la consapevolezza che i fallimenti, i giudizi, gli insuccessi sono all’ordine del giorno.
In fondo, anche un anno solare composto da 365 giorni può essere ricordato per una manciata di giorni al top, e tutti gli altri sono da buttare? No! Sono importanti per raggiungere proprio QUEI giorni.
Il mondo esterno è pronto sempre al giudizio, anime fragili si auto incutono paura e terrore nel doverlo affrontare, manca il coraggio, manca la fiducia, eppure sono malati di paura con tante cose da dire.
Nel mondo dell’arte si affrontano squali peggiori rispetto a quello messo sotto formalina da Damien Hirst, si può essere osannati e demoliti tutto nello stesso giorno, tacciati di copiare, citare, essere troppo creativi o troppo poco, troppo visibili o fantasmi dimenticati, così come la produzione artistica che può risultare ampia o striminzita. Allora qual è la giusta misura? Chiudo lo studio, serro la porta di casa, rimango a stordirmi di Netflix, Amazon e social network e vivo protetto nel mio mondo, è questo il pensiero di chi non affronta le paure?
Ci sarà sempre una caduta, un pianto, una delusione, ma anche un sorriso e una svolta nelle cose, mai porre pressione a se stessi né lasciarsi condizionare da un mondo che ci vuole standardizzati e perfetti, ma in fondo abbiamo tutti lo stesso difetto di fabbrica: siamo umani, portatori di emozioni e intrisi di dubbi e errori.
Chi critica lo farà in ogni caso, non si è mai attenti abbastanza ad accontentare tutti, ma non è neppure giusto farlo! Ci vuole pazienza, coraggio, audacia, un po’ di incoscienza e soprattutto mai chiedere l’impossibile, passo a passo si percorrono le strade, ogni inciampo insegna qualcosa.
Non è facile vivere in un mondo che chiede sempre di più, non è semplice fare l’artista, ci sarà in ogni caso qualcuno più bravo e preparato di te, ma questo deve essere uno stimolo a migliorarsi, non a rinchiudersi.
I giudizi fanno male, ma non usare un talento o relegarlo in angolo per dimenticare tutto chiude in questo modo non solo la porta della camera, dove l’Hikikomori si rifugia, ma anche le menti e l’anima, quindi? Quindi si spalanchino le finestre e si respiri nuovamente, con la pazienza dovuta, la fiducia e la giusta dose di paura.
Si tema il giudizio e la critica, ma non ci intimorisca nel riprovare e di ammettere di essere bravi anche a commettere uno o più sbagli.