Pubblicato il 17 novembre 2015 in http://vecchiatoart.blogspot.it
A Massimo Antonelli,
perché la scultura non è solo dare forma alla materia ma plasmare le emozioni
Chi si può definire “artista” tra uno scultore e un pittore? La scultura è artigianato e la pittura tecnica? Dilemmi che vanno sotto il nome di “competenze artistiche” che si ritrovano ciclicamente in conflitto nei confronti della supremazia dell’una o dell’altra: chi è la migliore? Chi è l’artista a tutto tondo?
Premettendo che l”artista è colui che dà voce ai pensieri, alle idee, alle intuizioni e li trasforma in opere d’arte, penso che non ci sia un predominio vincente ma solo la voglia di dare spazio ai pensieri e comunicare visivamente. Poi se il messaggio è recepito o meno e si intuisce un fastidio o un apprezzamento, questo è dovuto alla critica dei tempi che, come sappiamo, svela artisti contemporanei, ne osanna altri e nel frattempo demolisce alcuni che saranno apprezzati, forse, in un secondo momento.
Michelangelo nelle sue prove pittoriche si è sempre definito uno scultore prestato alla pittura, vedendo nella scultura l’unica vera arte dalla quale ricavare, scavare ed estrarre le sue figure.
La pittura era considerata dal maestro fiorentino solo un momento transitorio per la creazione, certo che alcuni esempi di pittura come il Tondo Doni o gli affreschi della Cappella Sistina, lo contraddicono ed evidenziano la sua formazione di scultore anche nella pittura, cosi nervosa, plastica e formale.
Le due arti, pittura e scultura, non si slegano ma si rincorrono sempre. Molti i casi di artisti che passano a solidificare e creare sculture dopo una vita tra colori e pennelli, è il caso dell’esempio di Edgar Degas che materializza le sue figure in scultura, scoperte dopo la sua morte.
La rivoluzione impressionista ha permesso quindi ai pittori di provare ad avventurarsi verso la scultura perché si tenta di cogliere il carpe diem pittorico teorizzato in quel momento.
Lo stesso Auguste Renoir perviene alla scultura solo alla fine della sua vita quando la sua pittura tende a diventare “plastica” e i segni del pennello si fanno materici, quasi ad inzuppare luce e colore.
Gli esempi plasmati da Medardo Rosso con il suo studio sempre rivolto alla “ricerca del vero”, ma soprattutto alla luce e all’opportunità di “fissarla” nell’opera.
Paul Gauguin sconvolge le regole della scultura ricercando il primitivismo e il gusto del selvaggio, seguito poi dall’esempio di Ernst Ludwing Kirchner; Pierre Bonnard e Felix Vallotton primeggiano con le sculture di nudi modellati nella terra e lavorati nel bronzo.
Henry Matisse utilizza la scultura come compendio e supporto al suo lavoro pittorico, trovando cosi un punto di fusione fra le due tecniche: “faccio scultura per rilassarmi” diceva e le inserisce poi nei suoi dipinti. “La scultura mi permette, di girare attorno all’oggetto e di conoscerlo meglio, invece di restare davanti a un superficie piatta” Matisse sembra così trovare l’equilibrio tra la diatriba che prosegue da secoli.
Georges Rouault supera gli ostacoli utilizzando nella materia i colori delle sue tele, successivamente Andrè Derain e Auguste Chabaud concepiscono la scultura come forma geometrica e ricerca formale.
Per i cubisti la scultura è la ricerca della dimensione spaziale: per Pablo Picasso “la scultura è il miglior commento che un pittore possa fare sulla pittura“, per George Braque invece diventa una forma di contrasto con il suo modo di fare pittura.
Salvador Dalí assicurava che “il meno che si possa chiedere a una scultura è che stia ferma“, nel suo stile surreale e ironico realizza poi opere in pittura che riproduce in scultura e viceversa, una nemesi della realtà e del sogno.
Non tutti sono a favore di una o dell’altra arte, spesso in tono polemico o sprezzante gli artisti primeggiano nel rilasciare dichiarazioni come fece Barnett Newman che spiegava la scultura come “quella cosa su cui inciampi quando indietreggi per guardare bene un quadro“.
La poesia onirica si ritrova nelle sculture di Henry Moore e Jean Arp, cosi come i lavori di Alberto Giacometti si fondono nel mestiere di pittore e scultore.
La scultura diventa per Anish Kapoor il mezzo di ricerca e indagine per scoprire come la materia possa perdere il suo significato a favore di un nuovo modo di vedere l’oggetto: “sono molto interessato al non-oggetto o il non-materiale. Ho fatto oggetti in cui le cose non sono quello che in un primo momento sembrano essere. Una pietra può perdere il suo peso o un oggetto in modo speculare può mimetizzarsi nei suoi dintorni da apparire come un buco nello spazio“.
Spesso le sue sculture sono “pennellate” nel paesaggio come le opere “Dirty Corner“, ora nei giardini di Versailles e descritta come “la vagina della regina”, o il “Cloud Gate” a Chicago.
Se la pittura insegue il realismo della scultura, la scultura rincorre il colorismo pittorico quando gioca e vive con la luce e le ombre. Il lavoro e il risultato non si quantificano in base ai materiali e al “tempo perduto” quanto al risultato evocativo, emozionale e comunicativo.
Artisti che invocano la supremazia della propria arte a scapito da altre formulazioni tendono a dimenticare forse che non esistono arti di serie A e dio serie B, quanto diceva sull’arte George Bernard Shaw è forse la conclusione migliore: “Si usa uno specchio di vetro per guardare il viso e si usano le opere d’arte per guardare la propria anima“.