Pubblicato il 23 febbraio 2016 http://vecchiatoart.blogspot.it

Ad un Maestro delle Parole, ad Umberto Eco.

“Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria.
Chi legge avrà vissuto 5000 anni:
c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito…
perché la lettura è un’immortalità all’indietro
(Umberto Eco)

Le parole hanno un peso quando dette, le parole hanno una forma quando pronunciate, le parole sanno alleggerire o ferire a seconda dell’intensità con cui sono proferite.
Le parole, poeticamente sono solo pulviscoli portati dal vento, danzano in controluce come la polvere in una giornata di sole: stancamente si alzano, appoggiano, volano, riprendono a volteggiare e poi spariscono.Le parole, a volte sono solo semplice nulla in mezzo al niente eppure quel niente non fa mai dire “dai non importa, fa nulla…”, una volta dettate alla lingua e pronunciate dalla bocca non tornano indietro.
Lo scritto traduce la parola pensata e detta in qualcosa di fermo e preciso, qualcosa che non si cambia, mai più.
Una critica d’arte, o meglio, una critica fatta ad arte, serve a tradurre i pensieri in parole scritte di cosa si vede e cosa si percepisce emozionalmente davanti ad un’opera d’arte, si dà voce a quello che, visivamente, l’artista ha cercato di tradurre e concedere agli occhi di chi osserva.

Umberto Eco r.i.p.
Umberto Eco r.i.p.

Quando si usano le parole si può distruggere un lavoro fatto da un artista, come si può invece valorizzarlo ed elevarlo, molti sono i “voli pindarici” fatti con le parole: si parla, si dice, si scrive, ma non si dice nulla alla fine, è la cosa peggiore che possa capitare di assistere. Non c’è niente di peggio che scrivere o dar voce ad una critica che non dice assolutamente nulla, forse lo sta facendo pure il sottoscritto ora che tenta (invano) di spiegare con le parole le emozioni che girano attorno alla parola detta o scritta.
I più furbi e paraculi della critica d’arte concludono dicendo “lasciamo che sia l’opera dell’artista a parlare”, troppo facile e comodo così si delega agli altri le cose da dire ed esprimere.
A volte le parole davanti ad un’opera non servono, l’oggetto parla da sé, parla di pancia, di testa e di cuore, altre invece si abbisogna di un supporto che ti prenda per mano e accompagni lungo il percorso da fare insieme.

Bla bla bla, Fabrizio Dusi
Bla bla bla, Fabrizio Dusi

Una sorta di guida che aiuti ad apprezzare quello che si vede: provate a lasciarvi trasportare da quello che un quadro, una scultura, una fotografia vi trasmette prima e solo dopo “sentite” il parere di chi si è avvicinato all’opera e all’artista attraverso lo studio e la critica.
Tante volte capita di non capirci niente e di riempire le righe e le pagine senza aver detto nulla, altre volte una riga si sussegue all’altra e aiuta ad aprire un nuovo orizzonte dove si riesce a vedere oltre l’aspetto visivo perché nessuna apertura è bella come lo spalancare la mente.
Come in un grande libro di cucina si possono trovare ricette facili e altre più impegnative così è la critica d’arte, a volte semplice e fluente, facile da realizzare e capire come un piatto pronto in cinque minuti e di sicuro effetto, un pezzo critico che diventa il corollario di ciò che si vede, altre volte invece il piatto si fa ricco di ingredienti e complesso, la cottura è ostica e complessa tanto da impegnare tempo e concentrazione e dove, come nei dolci ad esempio, non si devono sbagliare le dosi per ottenere il risultato sperato, ecco allora che la critica merita attenzione e il giusto tempo per essere cucinata, assaporata e gustata.

Giuseppe Ciracì
Giuseppe Ciracì

Mi piace l’antipasto gustoso e veloce da preparare, adoro la complessità dei primi ricercati, mi soffermo sui secondi studiati e calibrati negli ingredienti, reagisco in maniera positiva alle cose che riconosco combinate in altro stile, assaporo i colori e profumi che provengono dai vari manicaretti, alcuni li adoro e mi piacciono tanto da abbuffarmi, altri li assaggio appena, altri ancora invece li evito e proprio non li digerisco!
Che differenza c’è tra un piatto cucinato “ad arte” ed uno scritto “d’arte”? Entrambi devono dare piacere, riempire la pancia, arrivare alla testa e passare per il cuore. Devono aiutare il mio desinare, che sia davanti ad un’opera o per colmare la fame, e restituire la voglia di dire “sono sazio!” o per usare una parola desueta “sono satollo!”, si esatto, sono pieno, sfamato e ricolmo.
Le parole, così feroci e cattive a volte, così tenere e dolci altre che possono cambiare il corso della nostra giornata e della nostra storia.

Umberto Eco
Umberto Eco

Uno scritto come quello appena scorso e letto serve per fare il punto della situazione per chi scrive e a capire, per chi legge, cosa è stato detto nel passato e cosa ci aspetta nei pezzi successivi.
Forse noiosa interpretazione autoreferenziale in alcuni tratti, forse “volo pindarico”, forse accozzaglia di parole in libertà, forse solo un punto fermo per ricordare all’autore e ai suoi lettori che l’importanza delle parole non passa mai anche quando sono solo buttate nel calderone della quotidianità.

scrivere parole
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