Si pensa e si crede sempre che la felicità sia data dalla serenità che pervade l’anima e forse, una punta di verità risiede in questa affermazione, ma che cosa rende felice l’anima?
Molte cose, probabilmente differenti per ogni persona: lo sguardo di un innamorato, il sorriso di un bambino, lo scodinzolio di un cane, il rumore del mare che si infrange sulla spiaggia, una parola buona detta al momento giusto, il pane caldo, l’unico parcheggio libero trovato dopo ore di giri a vuoto, il gusto di gelato preferito, l’acqua fresca di una fontana in una calda giornata estiva, l’ultima pagina di un romanzo…
“Ottocento, l’arte in rivoluzione tra tormenti e inquietudini” a cura di Massimiliano Sabbion
Dal Romanticismo al Realismo, dall’Impressionismo agli albori delle correnti artistiche che hanno rivoluzionato il mondo contemporaneo. Un viaggio tra le arti e gli artisti di un secolo, l’Ottocento, tra tormenti e rivoluzioni storiche, culturali e scientifiche. Maxi Sabbion ci guida i un percorso che continua con la città di Padova alla scoperta di segni artistici quali il Caffè Pedrocchi, la scuola d’arte Pietro Selvatico e personalità artistiche quali Francesco Hayez, Giuseppe Jappelli, Antonio Canova.
Sala Rossini – Caffè Pedrocchi, 15, Via VIII Febbraio, 35122, Padova
venerdì 7 dicembre ore 11:00
INGRESSO GRATUITO
www.800padovafestival.it
No, il titolo non si riferisce a qualche nuovo film giapponese presente nelle sale di qualche festival internazionale di cinema, non è neppure un nuovo manga o un anime di successo, né un nuovo tipo di sushi, Hikikomori è il nome che si dà ad una sindrome giapponese tutta contemporanea che ha cominciato a varcare le soglie dell’isola nipponica e si è diffusa un po’ ovunque.
È contagiosa? No, affatto. È forse peggio…
Hikikomori in giapponese significa “stare in disparte“, è un isolamento sociale volontario, il termine si riferisce alle persone invisibili, coloro che non si espongono, non escono dalla loro dimensione e dalla loro camera da letto.
Si parla sempre più spesso di salvaguardia del patrimonio culturale, a volte con la paura di perdere la propria identità storica e la propria cultura d’origine. È bello che ci sia un interesse così radicato e sentito dalla gente per il territorio e il passato anche se spesso molte scelte su come gestire questo patrimonio è più che mai discutibile.
Memore delle lezioni dei maestri del passato e della ricerca compiuta negli anni, Silvia Scuderi si presenta all’occhio dello spettatore come una “viaggiatrice visiva” che ha portato con sé l’esperienza di un presente fatto di memoria, di visioni oniriche, di immagini che rimandano alla natura attraverso vedute paesaggistiche e particolari naturali in una immersione totalizzante che fonde cielo e terra, il visibile e l’astratto.
Corsi d’acqua che si specchiano tra le fronde di una flora ribelle e prospera, rocce che sedimentano secoli e stratificazioni del tempo, paludi e canneti, spazi immensi contrapposti a sguardi che occupano tutta la tela mostrando, a volte, un particolare riconducibile ad una natura di più ampio respiro.
Damiano Fasso nei suoi lavori usa materiali contemporanei simbolo e segno dei tempi in evoluzione: plastiche, smalti fluorescenti, supporti trasparenti che si fondono tra colori e forme nuove insieme a polvere da sparo e veleni.
Quello che si crea è un gioco sinuoso di ambiguità e dicotomie di una società contemporanea contaminata e in collegamento.
Il silenzio è fatto di tanti piccoli rumori, il silenzio della creazione è circondato dal ronzio di sottofondo del pc e dai battiti delle dita sulla tastiera, da una musica che proviene da qualche autoradio di un’auto che passa, dal vociare dei bambini che giocano a calcio lungo la strada del quartiere, dai propri pensieri che frullano in testa.
Il silenzio quindi è la base delle idee che nascono in mezzo ai rumori del quotidiano, anche quando si cerca l’isolamento da una voce e in un momento quella voce ritorna nella testa più viva e reale che mai, basta un ricordo a farla riaffiorare, un profumo, un’immagine.
Perché ci piace l’arte? Perché ogni giorno si cerca di circondare lo sguardo con cose piacevoli e che suscitino piacere ed emozione? Perché il fascino di forme e colori è così importante nella nostra vita?
Da quando l’uomo è nato, esistono il gusto e il piacere per il bello soggettivo ed oggettivo: ciò che piace è il risultato di un insieme di formulazioni dettate dalla società, dalla cultura, dal momento storico.
“Io di arte non ne capisco niente!“, una frase lapidaria per mettere le mani avanti e nel contempo eliminare completamente l’aspetto legato alla cultura e al sapere storico che ci ha condotto fino ad oggi, fino al mondo contemporaneo.
È più facile trincerarsi dietro una parvenza di ignoranza che colmare le lacune, perché poi la frase sopracitata è sempre successivamente accompagnata come scusante su quello che non si sa?
“Però se mi chiedi dell’ultima edizione del GF so tutto!”, “A scuola non abbiamo fatto arte”, “Comunque ho letto l’ultimo libro di “Cinquanta sfumature” e?”, “Ci sono cose più importanti da sapere dell’arte…”
I dubbi e le perplessità avranno sicuramente attanagliato gli artisti del passato così come succede con quelli del presente, le domande che ognuno si pone sulle proprie capacità, sulla ricerca effettuata, sulla strada da percorrere rimangono attuali in qualsiasi stagione ed epoca.
Le paure e le ansie di Michelangelo davanti ad un blocco di marmo da scolpire, la grandezza dei muri da dipingere da parte di Andrea Mantegna, l’incertezza davanti ad una tela bianca per Jackson Pollock, le sequenza cromatiche e vibranti per Mark Rothko.