“Che schifo questo quadro!“, affermazione spesso dettata d’istinto verso un lavoro compiuto da un artista che non piace, o meglio, che non trova i nostri gusti e tocca le nostre corde emotive.
Ma lo “schifo”, da cosa è generato? Da una non ben identificata interpretazione del soggetto posto di fronte? Da un assembramento di forme e colori che non trovano il nostro personale gusto? Da una ricerca infantile e sommaria di ciò che è rappresentato?
Gli elementi sono variabili, sono troppi forse per essere elencati, si passa dal piacere soggettivo al gusto oggettivo: se una cosa è brutta, è brutta!
Il giudizio frettoloso dell’affermazione “che schifo questo quadro!“, nasconde non solo il disgusto di chi sta osservando la tela in questione, ma soprattutto un termine di giudizio e di critica spicciola sulla quale è bene poi riflettere.
Certo, il pubblico e il parere espresso dalla massa conta, ma se a dirlo, forse usando altre parole più “edulcorate” è un esperto del settore? Magari il parere è pronunciato da un critico, un gallerista o un altro artista, di sicuro sarebbe necessaria una autoanalisi di sé e del proprio operato.
Spesso poveri supporti quali tele, pannelli, carta, sono impropriamente usati allo scopo di essere utilizzati per la creazione di “opere d’arte”, seguono poi matite, colori, tubetti, pennelli e quant’altro per completare lo scempio iniziale.
Bisogna imparare anche dai propri limiti e da se stessi a dire “stop, basta” quando si manifestano vere croste e obbrobri altisonanti.
Nessuno vi dirà che bisogna smettere di trovare il piacere nelle cose che si fanno, specie in quei lavori che si vengono a creare con forme e colori, spesso gli stessi risultati sono terapeutici, coccolano il loro creatore, “l’artista”, in uno spazio e un mondo dove si sente sicuro e protetto, dove nessun giudizio lo può (ancora) attaccare.
I pensieri si fanno muti, la mente riposa e null’altro esiste se non la tela e i colori, anche se ci fosse il rischio di arrivare ad un risultato brutto tra il kitsch e il trash, dove le proporzioni non sono rispettate, dove i colori non corrispondono alla realtà, dove si forgiano mondi improbabili e irreali, dove il tempo e lo spazio non esistono, si può allora parlare di creazione artistica poiché la fantasia non è mai brutta, forse alla fine lo è il risultato…
Nella storia dell’arte sono numerosi gli esempi di soggetti sproporzionati, non aderenti alla realtà dai colori particolari, abitanti terre mai viste e vissute. Fermando le parole per rimanere al solo mondo dell’arte contemporanea, quanto poco aderente al mondo reale vi si ritrovano artisti e loro produzioni? Molti i casi e le visioni: dai mondi colorati e accessi di Vincent Van Gogh, a Paul Gauguin, dai cubi di Pablo Picasso e Georges Braque, ai sogni metafisici di Giorgio de Chirico e surreali di René Magritte, Salvador Dalì, Joan Mirò, senza contare l’avvento delle nuove tecnologie e la video arte che ha dato vita a nuove visioni come nelle opere di Chris Cunningham o Bill Viola.
Sono forse questi pochi esempi di artisti citati da considera brutti? Secondo le regole e i canoni preposti i loro risultati, i loro lavori forse si, con la differenza che hanno lasciato il segno poiché riconosciuti come innovatori sovversivi, sperimentatori e soprattutto ricercatori oltre il visibile.
Il brutto e non aderente alla realtà che si fa arte? Sì, perché anche se non conforme alle regole di base e riconoscibili da tutti rimane valida la regola che “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace!“