C’é un costante bisogno nella nostra società di avere un titolo appiccicato addosso per comodità o per convenzione, ogni persona deve sempre essere etichettata per le proprie competenze culturali: dottore, ingegnere, geometra, avvocato, chef, consulente, manager, addetti vari, idraulico…
Anche nel mondo dell’arte ci si appella alla parola scultore, pittore, architetto, visual e in una sola parola, artista.
Le definizioni spesso sono solo sterili, è da meno considerare uno chef come un artista o uno scultore alla stregua di un ingegnere?
Le etichette servono, un po’ come le didascalie all’interno di una mostra d’arte che aiutano e accompagnano lo spettatore alla visione.
Esiste sempre un però, quel cavillo che infastidisce e preclude al fastidio, un po’ come la zanzara di notte, dove si dorme ma con fastidio. Il “però” del caso consiste nella percezione che il titolo conti e che possa quantificare e qualificare anche la parte professionale della persona, ovviamente corretta la prima parte della frase, meno ciò che segue: mai farsi vanto del titolo e della professione.
Sia sempre il nostro operato a decretare chi siamo, a forgiare la nostra professionalità e competenza qualsiasi sia il campo di indagine preposto.
Troppo spesso ci si riempie la bocca di parole e ricchezze non richieste e strabordanti, tanti che si cimentano in arte tra pittura, scultura e quanto altro e hanno spesso la presunzione di definire i loro lavori “le mie opere”, su che base è gestita la visione di “lavoro” e “opera”?
Spesso è un’esigenza che vuole essere monetizzata e quindi definire lavoro o opera il tempo speso per usare materiali e creatività è un confine labile.
La definizione di opere è sovente data dopo che si passa dall’anonimato alla visibilità e l’interesse arriva poi di pari passo.
Un titolo professionale non si raggiunge né da autodidatta né solo con un pezzo di carta che identifica il percorso fatto, è solo la punta di una montagna che si è scalata da un lato, ma dall’altro ci attendono nuovi percorsi e strade da compiere. È importante la costanza nello studio, nella ricerca, nell’incessante curiosità che è lo stimolo primario per eccellere poi nel proprio lavoro e definire alla fine le azioni compiute delle “opere”.
Un bravo idraulico è chi sa come compiere il suo lavoro e lo fa bene, così come è apprezzato e gustato il piatto di un bravo cuoco, similare è la buona diagnosi e riuscita compiuta da un medico che si avvale, come tutti i casi citati, della sua esperienza e professionalità.
E l’artista? Idem! Ha bisogno di confronti, di studio, di ricercare sempre e in ogni momento di esprimere il suo sentire attraverso le prove, gli sbagli, i giorni no, le soluzioni che tardano ad arrivare, ma quello che più conta è il risultato finale che lo porta ad agire per riuscire a creare e mostrarsi per mezzo di un linguaggio specifico fatto da colori, materiali, forme, in poche parole trasformare tutto ciò in “un’opera d’arte”.
Allora, ricapitolando, il titolo serve, forse non è indispensabile anche se è necessario da inserire nella carta d’identità alla voce “professione”, ma come si identifica chi vive di sogni, di attese, di pensieri ed emozioni da esprimere? Forse il titolo o la professione che lo individua ancora non c’è, ma che bello sarebbe sapere che tra le professioni c’è un “sognatore” formatosi in qualche scuola che insegna, con tanto di diploma finale, a sognare, a sperare e a continuare.
Utopia? Sì, forse sarebbe il titolo corretto con il quale chiamare la professione che si andrà a svolgere.