Pubblicato il 10 gennaio 2016 in http://vecchiatoart.blogspot.it
“L’arte non è ciò che vedi, ma ciò che fai vedere agli altri”
(Edgar Degas)
Un quadro, una scultura, qualsiasi opera d’arte che è esposta e messa davanti agli occhi dello spettatore è solo il risultato di una visione di come l’autore ha interpretato ciò che sente.
Ciò che sente? Non ciò che vede? No. Perché quando si compone un’opera d’arte non si vede con gli occhi, si parla attraverso uno spirito emozionale che traduce la visione in forme e colori.
Il risultato può avvicinarsi alla realtà, a volte la supera, altre invece la stravolge fino a non riconoscere il soggetto e si lascia guidare solo da quello che è stato fissato nel momento, nell’atto in cui si è passati dal pensiero alla creazione.
“L’arte non è ciò che vedi, ma ciò che fai vedere agli altri”, Edgar Degas nelle sue parole racchiude l’essenza del periodo Impressionista e anticipa quello che saranno i decenni successi fatti di arte, surrealismo, provocazione e pensiero concettuale.
Appunto, l’arte non solo è ciò che vedi, ciò che il tuo occhio afferra, ciò che fa del VEDERE lo sviluppo del GUARDARE, no, l’arte è soprattutto ciò che fai vedere agli altri, il tuo personale stile e interpretazione di quella idea visiva che si apre a chi osserva.
Un artista dà il proprio punto di vista e il proprio contributo con ciò che presenta che può essere sviluppato, ma non finito, ed è solo un momentaneo esempio di una goccia in mezzo al mare poiché la rappresentazione di ciò che si definisce sotto il nome di arte ha mille sfumature e mille forme.
Spesso è la logica e la razionalità ad avere la meglio nelle cose e nelle discussioni, ma non sempre la lucidità di una visione porta al risultato migliore.
Che ne sarebbe stato dell’arte se un giorno Henry Matisse non si fosse messo a rappresentare la realtà falsandone i colori? O se un René Magritte non avesse realizzato un quadro intitolato “Ceci n’est pas une pipe”? Come sarebbe continuata la storia dell’arte se non ci fosse stato uno squarcio nella tela da parte di Lucio Fontana o senza le bruciature di Alberto Burri? Quale modus operandi si sarebbe sviluppato senza la presa di posizione del proprio corpo come oggetto d’arte di artisti quali Marina Abramovic, Gina Pane o Vito Acconci?
Così come la realtà non è stata più la stessa con l’avvento della fotografia prima e del cinema poi, cosi il modo di rapportarsi al mondo contemporaneo si è notevolmente modificato. Di evoluzione in evoluzione si è passati alla globalizzazione dei pensieri che spesso sembrano tutti univoci e uniformati, per arrivare all’invasione dei social network con una rete allargata fatta di contatti virtuali e di realtà alternative da cui si aprono nuovi scenari.
Siamo ciò che vogliamo far vedere agli altri e si volesse far vedere agli altri l’arte? È ciò che si vede o ciò che qualcuno si ci fa percepire? Un artista è un “falsario” della visione o semplicemente un traghettatore di pensieri ed emozioni a cui ci si affida?
Il compito di un creativo non è solo quello di esprimere attraverso i segni e i materiali, ma di traghettare, novello Caronte, le anime che si fermano incuriosite e vibranti nei confronti del processo artistico.
Di fronte all’arte si può rimanere esterrefatti, colpiti, sensibili o meno non fa differenza, un’emozione, anche negativa, è pur sempre un momento di scambio interattivo tra cuore e cervello.
Ciò che si decide di mostrare agli altri è la propria interpretazione del momento che si ferma e si fa pittura, scultura, performance o video, ciò che è mostrato poi è giudicato, ed è un pensiero che si guida tra il tempo e la memoria da un lato, tra il presente attuale e la proiezione di un futuro prossimo dall’altro.
Fai vedere agli altri ciò che non vedono, questa è l’arte.