Pubblicato il 14 giugno 2016 http://vecchiatoart.blogspot.it
“L’Anima è reale, la Materia è illusione”
(Fabio Marchesi)
Che rumore fa la gioia? Che suono ha la bellezza? Come si sente il tempo? Sembra quasi impossibile dare risposta e arrivare a creare un’immagine mentale per definire queste emozioni, eppure qualcuno lo azzarda e lo fa, ci tenta, ci prova e alla fine ci riesce.
È il caso di Beatrice Gallori al quale il termine di “artista” calza più che mai: non è una pittrice, non è una scultrice è, appunto, un’artista che si esprime per mezzo della pittura e per mezzo della scultura.
Le sue sono opere materiche, dense e cariche di pastosità, di colore e di forme che si rincorrono.
Profili che scivolano sui colori e sulle resine, levigate e lucide dove in queste sagomesale la voglia di toccare con mano queste consistenze protuberose che sembrano molli, energiche ma quasi soffiate con un respiro vitale, con delicatezza, quasi fossero bolle di sapone che tentano di avvicinarsi allo spettatore uscendo dalla cornice impostata perché nello spazio non c’è una fine ma un infinito che si propaga.
La gioia travalica il segno, la bellezza esplode oltre la visione fenomenica e il tempo si blocca, si ferma in un battito e in un istante.
È il movimento la base delle opere di Beatrice Gallori, sperimentazioni continue dove sogno e segno si accavallano e trovano un significato solo quando poi si realizzano.
È pittura? È scultura? No, è arte, arte di questo secolo.
Un vero “mestiere”, specchio dei tempi dove si studia l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, il macro e il micro ed è su questo che si basa la ricerca dell’uomo contemporaneo: è la scoperta di mondi nuovi che siano oltre il visibile sia che si punti lo sguardo verso il cielo sia che lo si abbassi alla ricerca della profondità della sostanza.
È semplicemente con l’assenza della forma da un lato e il rigonfiamento della materia dall’altro che l’occhio gioca e scivola in questi mondi extraterrestri ed extracorporei.
Luca Beatrice, parlando delle opere di Beatrice Gallori nel testo in catalogo della mostra “The cell” dichiara come: “Il suo universo astratto è fatto di forme e colori elementari, di blob gassosi e bolle, nuclei e sezioni inglobati nella parete altrimenti bidimensionale del quadro. (…) Il suo è un tentativo di tradurre in unità nucleari il DNA genetico del mondo.”
Un magma vitale che attraversa lo spazio e l’anima, si insinua, scivola lungo le pareti, attraversa e gorgoglia in questo mondo in perenne ebollizione dove un calderone di pensieri e uomini si appropinqua tra la globalizzazione dei social network e la visione modernizzata di una cultura storicizzata che passa dalle materie del Nouveau Réalisme, alle plastiche di Alberto Burri con il fascino delle bruciature e delle deformazioni, fino alla consapevolezza fatta di luce e ombre nelle estroflessioni e introflessioni di Enrico Castellani per arrivare alle composizioni di Agostino Bonalumi dai colori accesi e puri.
Un tessuto sociale che fa si che l’artista sia davvero “figlia del suo tempo”, dove le connessioni e le comunicazioni avvengono attraverso impulsi, battiti, fibre e cellule che nascondono un mondo infinito in cui spaziare.
Una cellula è una struttura che costituisce, una volta assemblata con altre cellule, una forma che finisce per introdursi in un tessuto più ampio, come la stoffa, la pelle o come i mattoncini colorati usati per giocare da tutti i bambini del mondo dagli anni Sessanta in poi dove pezzi, ingranaggi e incastri formano un insieme di cellule, un insieme di costruzioni.
Un tuffo nell’arte di Beatrice Gallori è un’immersione nel mondo contemporaneo più assoluto, con le sue opere (difficile da definire pitture o sculture) si rivive il passato con una chiara luce pop.
Un bagliore lucido e levigato è provocato e stimolato dall’artista per lo spettatore dove la materia, le resine e le composizioni sugellano un unicum che invita chi guarda ad immergersi con i sensi nelle opere.
Si, immergersi, perché viene voglia di avvicinarsi a queste forme che stimolano sicurezza e ricordi primari, c’è bisogno di toccarle, di assaggiarle, odorarle e sentire i composti di cui sono fatte e dove i colori, primari e fluo, giocano con la sensibilità emozionale dell’osservatore.
Un rosso sangue che pulsa di vita, un bianco latte che aggiunge freschezza, un giallo fluo che dà gioia, un rosa shocking emblema del gioco infantile simbolo di purezza, tutto si ritrova in queste sospensioni in cui Beatrice Gallori naviga e fa fluire, in maniera tangibile, i suoi pensieri,con un invito a chi guarda, a prendere una forma, sospesa tra realtà percepibile e immateriale, tra figurativo e astratto ma soprattutto tra concretezza e fantasia perché: “Il tempo non passa e non se ne va, è solo la materia che inquieta si agita e si trasforma, ma il tempo non esiste!” (Carl William Brown).