Pubblicato il 22 novembre 2016 http://vecchiatoart.blogspot.it
A Regina,
per le sue azioni per una Realtà Mutante
Per indagare il nostro io ci sono mille modi e mille mezzi: chi cucina per se stesso e per gli altri, accarezzando il cibo e coccolando il gusto e il palato, chi trova la sua valvola di sfogo nello sport e nella cura del proprio corpo, chi si scatena su una pista da ballo o cantando a squarciagola sotto la doccia o esibendosi in gare, chi invece si dedica alla scrittura e chi, infine, utilizza l’arte con i suoi strumenti e materiali, tutto ciò è un mezzo di espressione emozionale.
Non c’è un freno al paragone e alle situazioni che si possono generare con quello che si ha da dire, il punto è sempre uno: come dare voce ai facili entusiasmi e a quello che si deve affermare?
Sostenere di essere bravi cuochi, atleti, cantanti, scrittori o artisti è diverso dal dimostrarlo, così come è diverso porre l’accento sulle varie tipologie artistiche che sensibilizzano l’animo umano.
Se il piacere di fare e creare è indiscutibile e imprescindibile, di contro lo è invece il risultato, se una sola delle arti citate procura un’intensa gioia interiorizzata perché non farla e portarla a compimento? Nessuno ha il diritto di dire che il risultato non porti soddisfazione e dia felicità, se nella vita si fanno le cose senza provare gusto, senza sentire dentro quel sottile orgasmo interiorizzato, allora meglio lasciare perdere qualsiasi tipo di percorso.
Migliorare e confrontarsi è sempre redditizio, porta un valore che si accumula continuamente in un aspetto fatto di sacrificio, lavoro e soprattutto di tanta pazienza.
Gli effetti, la maggior parte delle volte, non arrivano subito, l’immediatezza è solo un’effimera chimera: nel nostro tempo quasi ci si è scordati che per ottenere un risultato bisogna un poco soffrire, un poco sacrificare e molto provare e riprovare condendo il tutto con un’infinita attesa.
Si, l’attesa, che porta poi alla soddisfazione conclusiva e dove, al culmine della frenesia, si associa il risultato finale: un buon piatto arriva dopo innumerevoli prove fatte in cucina dove si è scambiato il sale è con lo zucchero o il forno è troppo caldo; la maratona ha bisogno di allenamento e di percorsi; la voce nel canto va corretta, educata e preparata, così come il corpo per il ballo; la scrittura va accudita con le parole e le pagine; l’arte va studiata e condotta tra analisi, segni, colori e sperimentazioni.
Tutto questo “provare” si definisce “sbaglio”, magari uno è davvero uno sbaglio dietro l’altro, ma se non si prova, non si arriva all’errore e alla definitiva conquista di quello che si è inizialmente prefissato.
L’attesa, porta alla considerazione di sé e del proprio operato, continuamente sospesa tra l’incertezza e la sicurezza di quello che si produce o esterna, solo per arrivare al piacere finale di quel piccolo fottuto orgasmo che scalda il cuore e smuove lo stomaco.
“L’attesa del piacere è essa stessa il piacere” secondo Gotthold Ephraim Lessing, nulla di più vero, l’emozione di poter sfornare un piatto non ha paragoni con l’attesa della preparazione, tanto quanto il corpo plasmato da ore di allenamento, di vocalizzi e gorgheggi o pagine e pagine di scritti oppure di fogli ricchi di disegni ed appunti.
Nessun consiglio arriva a servire la ricerca, diffidare sempre delle facili promesse e credere nelle cose, meglio lasciare al vento le parole dette solo per spillare tempo e soldi da chi si proclama professionista del caso quando poi in realtà è solo un becero e misero motivatore emozionale, chi urla spesso vuole farsi sentire sopra il coro, ma è davvero necessario andare oltre il muro del suono per far udire la propria voce?
Puoi fare tutto, dire tutto, raggiungere tutto, se vuoi ce la fai, se ci riesci ci credi…davvero tutto ciò è realizzabile? Davvero si è disposti a credere che l’universo intero, solo perché io lo desiderio, sia al mio servizio e in mio potere? Nulla di più sbagliato! Meglio ridimensionare e ridimensionarsi…
Mai perdere la speranza, ma essere concreti ed umili nelle cose e lasciarsi guidare, spesso chi giudica seriamente lo fa per indirizzare sulla giusta strada, mai per il gusto di dare aria alla bocca.
Troppi coloro che usano le emozioni per spettacolizzare, inscenare e sfruttare talenti solo per fare numeri, audience e buttare poi tutto nel dimenticatoio calpestando la competenza e la serietà dei professionisti.
Il cuoco, l’atleta, il cantante, il ballerino, lo scrittore e l’artista che vogliono gareggiare con gli altri prima devono imparare a gareggiare con se stessi, poi, una volta pronti, possono affrontare altri professionisti, altri motivati tanto quanto lo sono loro, se non di più, senza scordare mai la creatività, la genialità e la follia nella realizzazione delle cose.
Sentire ripetere più volte “Ho un’idea di in testa di come voglio fare le cose, ma non so come esprimermi” è la convinzione più sbagliata.
La realtà è che a dominare è la ha paura del confronto, dello sbaglio e soprattutto del giudizio altrui, ecco la verità, a nessuno piace la valutazione negativa di ciò che si è compiuto, è faticoso.
Bisogna essere pronti anche ad ammettere che spesso il nostro lavoro non solo non è bello, ma magari fa semplicemente schifo!
Piangersi addosso o accusare gli altri che non si è capiti o apprezzati è il primo passo verso la rabbia improduttiva, ci si concentra poi sempre più in mete irraggiungibili perdendo di vista la realtà di quel piccolo piacere, di quell’orgasmo interiore che ha spinto l’essere umano a provare sentimenti ed emozioni e a distinguersi dagli animali che interagiscono solo per bisogni primari.
Questo è l’Uomo, l’animale più complesso perché ama alla follia tutto ciò che è follia…