Pubblicato il 17 marzo 2011 in Exibart onpaper – Maggio 2011, pg. 23
Tra pezzi di arti, animali impagliati e scheletri, si snoda il percorso dei Musei di Zoologia ed Anatomia Comparata dell’Università di Bologna, in questo spazio si apre la mostra “Fisiologia del paesaggio. Juan Carlos Ceci – Fulvio Di Piazza” a cura di Daniele Capra. Un viaggio in cui predominano il paesaggio e la natura con un iperrealismo vicino al dettaglio fiammingo nelle forme di Di Piazza (1969) e stratificata-geologica in Ceci (1967). In entrambi i casi si può parlare di un espressionismo figurativo-realistico dove l’uso della pittura si fonde con la materia.
Tra pezzi di arti, animali impagliati e scheletri di varia origine e dimensione, si snoda il percorso dei Musei di Zoologia ed Anatomia Comparata dell’Università di Bologna dove, attraverso lo studio dell’anatomia di pesci, mammiferi, rettili, uccelli e anfibi si spiega l’evoluzione della vita. In questo spazio, gruppi di animali studiati e sezionati per capire la trasformazione e mutazione della specie, si apre la mostra “Fisiologia del paesaggio. Juan Carlos Ceci – Fulvio Di Piazza” a cura di Daniele Capra. Un viaggio visivo compiuto dai dei due artisti in cui nella pittura predomina il paesaggio e la natura. Attraverso la percezione di un “mondo fantastico” si ampliano i confini con un iperrealismo vicino al dettaglio fiammingo-olandese nelle forme realistiche di Di Piazza (1969) e in maniera stratificata-geologica di Ceci (1967). In entrambi i casi si può parlare di un espressionismo figurativo-realistico dove l’uso della pittura, vigorosa e ricca, si fonde con la materia densa e il colore che sobbarca le forme. Il siracusano Di Piazza trasferisce sulla tela una pennellata inzuppata di colore e di fantasia surreale, a tratti magica.
È una realtà che strania lo spettatore invitando a riconoscere nuove forme già vissute nell’inconscio: chi guarda si ritrova a navigare perdendo lo sguardo. L’autore è debitore delle forme del Surrealismo magrittiano in cui diventa fondamentale l’utilizzazione dei meccanismi dell’inconscio e della casualità. Nell’idea del sogno, dell’automatismo psichico e dell’immaginario viene così affermata l’importanza di rifiuto della logica per far si di potersi esprimere in una totale libertà. Le rappresentazioni fluttuano nello spazio di un sogno senza tempo, sia che si trovino racchiuse in una cornice naturale che evidenzia così il fulcro del soggetto rappresentato, sia che si perdano nella totalità della superficie. La comunicazione per Di Piazza non assume confini, si associa casomai ad un soggetto (spesso di carattere zoomorfo) ma rimane invariata: trattiene la stessa materia con la quale si crea il momento emotivo. Le immagini giocano su un doppio senso di visione a partire dal titolo dell’opera, ne è un esempio Gru al vapore in cui una gigantesca colata lavica assume la forma di un uccello, la gru appunto, da cui scaturisce un getto di magma e ceneri, oppure la Casa del Cannibale dove la forma della casa ricorda una bocca completa di zanne e le stesse fauci diventano la struttura della casa composta da ossa e vegetazione. I soggetti diventano un gioco curioso di associazione tra forme e parole, tra quello che si vede e quello che si sente, dove tutto è stupore e meraviglia dove irrompe una forza funambolesca, misteriosa e fantastica. Le tavole ad olio del pittore materializzano con rigorosa precisione parvenze irrazionali e sono eseguite con una maestria tecnica quasi fotografica. Dalì stesso definì i suoi dipinti “fotografie di sogni fatti a mano”, potremo utilizzare la stessa locuzione per le opere di Di Piazza. L’artista vola nell’aria liquida e luminosa dei suoi dipinti ad olio, ci si perde nelle sue figure fluttuanti che sfidano le leggi della gravità e volano: sono sogni che abbiamo visto sognare. Di Piazza toglie la fisicità e il realismo per oscillare invece abbandonato nella stessa aerea morbidezza e fragilità di una bolla di sapone, ma chi lo guarda sta dentro la bolla e i colori si acutizzano e si fanno brillanti. L’artista diventa contraddittorio e spiazzante riprendendo tecniche linguistiche del montaggio, dell’assemblaggio distruttivo-creativo di uno spazio-tempo naturale. Un unione di mondo da fiaba dove citare gli artisti del passato che utilizzano la fiaba e il sogno nel loro fare artistico risulta palese: da Chagall a Kandinskij, dalla fiaba in Klee alla pittura metafisica di De Chirico, Magritte e tutto il Surrealismo.
Lo sguardo dello spettatore che cade quasi distrattamente sulle opere si lascia avvolgere da sensazioni di pace, calma e tranquillità, un mondo immaginifico e sereno da sembrare quasi impossibile e surreale, visionario ma possibile. Nelle opere esposte in mostra le composizioni ci ricordano gli oggetti presi dall’immaginario comune e trasferiti nella terra della fantasia sfidando tutte le leggi della ragione. La natura nelle tele è ben descritta nel saggio della mostra di Alberto Zanchetta: “… florido sistema linfatico (ed enfatico) di Fulvio Di Piazza, il quale vivifica il genere pittoresco grazie a falde freatiche che confluiscono nel succo del mondo..” Nel lavoro degli artisti in mostra a Bologna, Daniele Capra mette in risalto nel suo testo il lavoro compiuto sul tema del paesaggio d’invenzione e di capriccio, genere seicentesco di disegni fantasiosi: “Ceci e Di Piazza recuperano quella tendenza alla follia controllata, tipicamente barocca, innestando un aspetto in più: il paesaggio d’invenzione nelle loro opere si rivela infatti un complesso sistema di rimandi in cui gli aspetti topologici e fisiologia animale parlano una lingua simile, poiché costruiti a partire dalla fascinazione per il mondo della zoologia e di quella vita che scorre nascosta dentro ciascun essere vivente, sia esso animale o vegetale.” Gli oggetti che Di Piazza semina lungo il suo percorso si ripercuotono nelle sue opere: dall’esperienza della musica come batterista di una band punk-hardcore, ai fumetti e al cinema d’animazione giapponese. Di Piazza sogna fumetti tratti da un nuovo viaggio di Alice nel Paese delle Meraviglie, un Alice non più bambina dove la sua ricerca si popola di creature fantastiche che popolano visioni gustosamente cruenti. L’accostamento con il manga giapponese è un debito che le generazioni dagli anni Settanta del Novecento in poi sentono penetrare nel loro immaginario. È un contesto culturale nuovo, un mondo di codici linguistici e narrativi moderni fino ad arrivare ad una corrispondenza tra funzionalità diegetica e fascinazione figurativa. Artisti dell’anime giapponese come Hayao Miyazaki sono fonte di ispirazione per le opere di Di Piazza: come non citare opere d’animazione giapponese del calibro de Il Castello errante di Howl (2004) a sua volte debitore per l’immagine fluttuante alle opere surrealiste di Magritte? Magia e sogno si confondono creando figure tra il fantasy e il gotico, risultato di “un’opera al nero” dove la fantasia si amalgama con l’alchimia.
“Juan Carlo Ceci – Fulvio Di Piazza. Fisiologia del paesaggio.” a cura di Daniele Capra Bologna Museo di Zoologia e di Anatomia Comparata, Università degli Studi di Bologna 22 gennaio – 27 marzo 2011