Pubblicato l’11 novembre 2016 in http://vecchiatoart.blogspot.it
“Se sognare un po’ è pericoloso, il rimedio non è sognare di meno ma sognare di più, sognare tutto il tempo”
(Marcel Proust)
Strano posto il mondo dell’arte, strano davvero se si pensa ad un luogo fatto di persone dove creatività ed emozioni sono le padrone di case e i suoi ospiti artisti e creativi.
Ancora più strano se si pensa come in un Paese, che ha dato i natali a grandi geni della cultura, oggi si riesca a vivere di questo passato ma non a gettare nuove basi per un futuro e, piano piano, questo modo di pensare si stia sgretolando sotto i nostri occhi tra incuria e compravendita.
L’investimento culturale di cui si decanta il primato a livello mondiale in realtà non avviene, forse davvero non interessa a nessuno.
Chi nasce creativo muore sotto il peso di un affaticamento di rivalsa e di riconoscimento a livello personale prima e di pubblico poi. Quante volte alla domanda “che lavoro fai?” un creativo risponde, a seconda del suo indirizzo, “faccio lo scrittore, l’artista, il musicista, il ballerino…” e di rimando si sente rispondere “ah bello…ma di lavoro invece che fai?”?
Quando si smetterà di considerare la creatività un’attività da hobby & bricolage? Un Paese che ha creduto nell’arte e nella cultura ora non può ridursi a vivere (male) di un passato glorioso, inganna se stesso e le future generazioni.
A che servono gli orientamenti scolastici e universitari se poi la tutela dello Stato non arriva a garantire un investimento concreto nelle risorse? La scuola non è tutto, ma è la base di una partenza spesso tradita.
Quanti call center, fast food e negozi ci saranno ancora per dare mobilità occupazionale ai giovani che hanno la “presunzione” di scegliere un indirizzo umanistico in base alla loro sensibilità e preparazione?
È umiliante sentire dire che le nuove generazioni non hanno voglia di lavorare, non è vero, si adattano, sperano e colmano i cassetti di sogni, continuamente, ma soprattutto lottano, lo fanno ogni giorno.
Io so chi sono, tu sai chi sei? Perché mi vuoi come ciò che non sono?
È il pensiero di molti, ma la realtà è che sempre meno ce la fanno ad emergere, la concretezza è di pochi…
Non si improvvisa l’arte, non si improvvisa la cultura.
La formazione intellettuale costa fatica, impegno, preparazione, continuo studio e aggiornamento, si combatte sempre con una amara verità e ci si impegna a non rimanere delusi o demoralizzati ogni volta che si chiude un concorso, una cattedra, un vernissage, un budget irrisorio per creare un evento, un curriculum consegnato dove tutto spesso si accompagna a frasi del tipo “le faremo sapere”, “non ora ma forse più avanti”, “il tuo momento non è ancora arrivato”, “il tuo momento è passato”, “quella che ti si offre è si gratuita, ma è una grande opportunità”.
La voglia di non mollare è più forte di molte istituzioni, pubbliche o private, che non possono o non vogliono investire in cultura, di tutte quelle persone che remano contro, della paura di fare scelte sbagliate, della difficoltà di far quadrare i conti e di continuare a credere nella creatività.
Un artista va pagato e finanziato per le ricerche e il lavoro svolto per il suo sentire, per le emozioni che suscita, per un’identificazione e per la collettività; un critico e un curatore ha bisogno di affermazioni e di fare in modo che il suo operato sia allo stesso modo sovvenzionato e riconosciuto professionalmente.
Troppi gli improvvisatori sia tra gli artisti che tra i curatori, molti vivono di rendita per essere stati scelti nel posto giusto al momento giusto. Se poi basta finire in qualche calderone mediatico per essere tacciati con l’etichetta di “opinionista” solo per aver partecipato in maniera anonima ad un evento o ad un reality show dove basta far passare come “contenitore culturale” i salotti pomeridiani, beh, allora siamo davvero il Paese che meritiamo.
Non si ingrossino le fila di coloro che camminano a testa bassa inebriati di soli schermi di smartphone e social network, pronti all’ennesima caccia di Pokemon o ad infinite partite a Candy Crash, la cultura ha bisogno di azioni e reazioni, di guardare oltre il metro quadrato vitale di ognuno e di sollevare le teste sia dai cellulari, sia da chi vuole decretare l’ennesimo taglio per mancanza di fondi, per mancanza di coraggio, per mancanza di forza.
Non si può cadere, non si deve cadere…
Quando si è a terra e si fatica a rialzarsi, allora tutti ti vogliono dare una mano, tutti ti vogliono aiutare e dare il consiglio giusto, quando invece poi, se riesci ad arrivare alla cima e a farcela, arriva chi vuole abbatterti e demolirti…
Strano il mondo della cultura dove oggi non sei nessuno, ma ti si incoraggia a perseverare e domani se emergi e ci sei poi, non conti nulla.
Questa è la “legge della giungla”? Sopravvive il più forte e basta? Dovrebbe invece perdurare il più preparato, il più capace e il più bravo dei creativi, solo in questo modo un Paese progredisce e tutela la sua cultura e il suo passato storicizzato, solo così si gettano le basi perché il futuro attecchisca tra le radici di ciò che fu.