Pubblicato l’8 settembre 2015 in http://vecchiatoart.blogspot.it
“Mi interessa molto il futuro: è lì che passerò il resto della mia vita”
(Anonimo)
Rifugiarsi nel passato significa avere paura del presente e non guardare al futuro, cullarsi nelle sicurezze di quello che è stato, per comodità e per codardia.
Che piaccia o no siamo qui, nel presente, viviamo l’attualità e creiamo le basi per l’avvenire, egoisticamente pensiamo che quel domani sia solo per noi, solo nostro, ma nel domani forse noi non ci siamo: si preparano i terreni per chi verrà.
Nulla è scontato e irreparabile anche quando si pensa “Après nous, le déluge“, lo pensava allora Madame de Pompadour, favorita del re di Francia Luigi XV, ma anche se: “Dopo di noi, il diluvio” è davvero arrivato, è servito a suo tempo a creare le basi per un nuovo modo di pensare, per un nuovo Stato, per una nuova concezione culturale e artistica poi.
Verrebbe da rispondere a Madame de Pompadour che in fin dei conti visto? “Non tutto il male viene per nuocere“, i cambiamenti rivoluzionari ci sono stati e sono serviti.
Pensare a conseguenze drammatiche arriva sempre quando meno ce lo si aspetta, su mille domande a volte basta una sola risposta, ma allora, che sarà di noi? Che cosa succederà all’arte vessata e tartassata su ogni fronte? Quali si possono definire ancora artisti? Cazzate!
Tutto si trasforma e muta e legarsi al rassicurante passato non aiuta, il passato è ciò che è stato ma siamo NOI il futuro, adesso. Non ci serve né una DeLorean DMC-12 né uno scapestrato Emmett “doc” Brown per un “ritorno al futuro“, ma avanzare sostenendo quello che la cultura di oggi può dare e offrire: a volte splendide delusioni e affascinanti ciofeche, a volte geniali intuizioni e svolte epocali, ma sono le basi di una contemporaneità che si sviluppa e cresce.
A fine Ottocento il polo artistico era la romantica e liberale Parigi, nel Novecento tartassato da Guerre Mondiali la capitale francese ha perso smalto a favore di altri capitali quali Berlino e Zurigo per approdare poi a partire dagli Cinquanta con il mito americano della Grande Mela, con l’esplosione di New York, fucina di artisti e di idee.
Qui il futuro era solo abbozzato ma i cambiamenti a livello culturale, artistico, musicale, cinematografico sono continuati per lunghi decenni.
E ora? In questo momento? Il polo si è spostato verso un sopito Giappone che piano piano ha conquistato, tra tecnologia e innovazione, il mondo intero e si sono affacciati paesi che fino a poco tempo fa hanno prodotto arte a uso e consumo locale ma che ora si pongono con forza un’attenzione a livello globale come la Cina, l’Azerbaigian, la Russia, paesi sconosciuti prima ma che sono forza ora nelle manifestazioni con le loro idee e i loro artisti.
Un solo esempio, il Padiglione Armeno, vincitore del Leone d’Oro della 56ª Biennale d’Arte di Venezia con l’esposizione “Armenity” una testimonianza di artisti che ha basato il proprio lavoro su un popolo in diaspora, dove ogni artista si confronta con il paese dove vive attualmente, con se stesso e con la tradizione culturale armena.
Era già accaduto che un paese nuovo, straniero ai linguaggi artistici finora conosciuti, venisse a scomporre il “quieto vivere” artistico del monopolio europeo: era il 1964 quando la Pop Art americana si impose alla Biennale di Venezia con Robert Rauschenberg nominato miglior artista straniero e insieme a lui, presenti nella stessa esposizione, altri americani che cambiarono il modo di vedere l’arte, Jim Dine, Jasper Johns e Claes Oldenburg, nomi che si susseguono negli anni a venire e grazie al loro intervento l’ago della bilancia della ricerca pittorica si sposterà definitivamente dall’Europa agli Stati Uniti.
Le cose cambiano, mutano e lasciano ammutoliti, partecipi degli eventi e di quello che il mondo chiede nelle trasformazioni epocali non ci si può rifugiare nel passato, è il passato stesso che insegna a non fare gli stessi errori e a non avere paura dei cambiamenti.
Ci saranno nuovi paesi, nuovi artisti, nuovi poli d’insediamento culturale ma finché l’uomo ha alla base le esigenze primarie per comunicare, nulla è perduto e finito.
Erano così belli e rassicuranti gli Impressionisti, affascinanti i Cubisti, cosi colorati e pieni di concettualismo i Surrealisti, che dire poi della Pop Art e dell’Arte Cinetica o Optical, vogliamo scordare l’esplosione di forme e colori gioiose e simpatiche del Giappone o le disturbanti performance di Body Art, o la Street Art che ha invaso le città e si arrampica ora sui muri delle gallerie e musei? Passato!
Tempus fugit, tempo passato, trascorso, andato, finito, accaduto, cessato, avvenuto, avanzi pure il presente che lo demolisce e fonda cosi quel tanto aspettato, agoniato e sparuto ma unico FUTURO.