Visionary Art
Alzaia Naviglio Grande, 54
20144 – Milano
Caos, finzione e provocazione: l’arte di Damien Hirst
“Voglio fare arte, creare oggetti che avranno significato per sempre.
È un grande ambizione, una verità universale, ma qualcuno deve pur farlo”
(Damien Hirst)
Arte e provocazione, è il binomio che occupa gran parte della produzione dell’artista inglese Damien Hirst.
Genio mediatico o grande ingannatore? Ironico e sottile o acutissimo personaggio dotato di intuito dei tempi e dell’arte?
Il lavoro di Damien Hirst è legato alla spettacolarizzazione e all’esplorazione di un tema che ricorre in tutta la sua poetica: la morte.
È la celebrazione della vita quella che presenta l’artista attraverso le sue installazioni, Hirst mostra i vari sentimenti che si annidano nella morte tra dolore e paura, tra necessità e stigma la morte, tra accettazione e rifiuto ed è così svelata in una visione che contempla la fase della vita di ognuno.
La morte non si può evitare, è la conclusione di un processo vitale che arriva e anima l’ispirazione dell’artista.
È il 1981, Damien Hirst è appena un ragazzo, ha sedici anni, è curioso e mai pago nelle sue ricerche, visita l’obitorio di Leeds e i corpi gli appaiono oggetti inermi, gracili, caduchi nella fragilità della vita. Un corpo morto, inanimato, privo ormai di sentimenti e di funzioni, un oggetto.
Questo macabro episodio serve a capire chi è, ad apprezzare la sua vitalità, a capire ora (e in seguito) la sua arte, il suo percorso di ricerca e creazione, è un’esperienza fondamentale che compie come, a distanza di anni, quella del lavoro che svolge come centralinista presso la M.A.S. Research, una società di ricerche di mercato, utile per capire le persone, per arrivare con la sua grande eloquenza a contrattare e conquistare così la gente.
La ripetitività ossessiva, così come le idee e le parole nella loro semplificazione si ritrovano in un mondo, in un universo realizzato nei dipinti Stop Paintings (1986), creati tramite una tecnica che permette ad Hirst di realizzare serie di punti colorati su sfondo bianco equidistanti gli uni dagli altri.
È il concetto che interessa all’artista, non la loro realizzazione, cosa lega questi “pallini” diversi per colore in un movimento che risulta infinito e dove è il colore il vero protagonista e lo spettatore deve solo godere della loro visione perché, in fondo, i pallini per l’artista sono solo “un modo per immortalare la gioia del colore”.
Nel 1988 cura la mostra intitolata Freeze presso i Dock Offices, ex uffici portuali abbandonati. La mostra espone i lavori di artisti della Goldsmiths, artisti che formano il gruppo che verrà poi denominato Young British Artists.
La mostra è il trampolino di lancio di Damien Hirst, gli occhi di Charles Saatchi, collezionista e pubblicitario anglo-iracheno a capo dell’agenzia pubblicitaria Saatchi&Saatchi, cadono sui lavori del giovane artista. Saatchi ha un ruolo fondamentale nella promozione del lavoro di Damien Hirst all’inizio della sua carriera e del gruppo YBAs, assicurando ampia visibilità nonché sicurezza economica ai giovani artisti.
Le prime opere di Damien Hirst diventano ben presto famose: la serie con gli animali imbalsamati come mucche e squali sotto forma di formaldeide, il concetto di morte e preservazione si insinua tra le teche dove trovano posto gli animali.
La serie riprende l’idea di ready-made dadaista di Marcel Duchamp e, successivamente, di Warhol, non sugli oggetti, ma sugli esseri viventi. Le “cose” sono private della loro funzione utilitaristica e contestualizzate, i soggetti delle sue opere si privano così di ogni impronta personale.
La prima opera realizzata con un animale è The physical impossibility of death in the mind of someone living (1991). Damien Hirst acquista uno squalo tigre lungo 4 metri per 6000 dollari da un pescatore australiano: 4000 per la cattura e 2000 per imballaggio e spedizione. L’enorme animale è esposto immerso da 848 litri di formaldeide, l’opera è venduta nel 2004 per milioni di dollari e rendendo Damien Hirst uno degli artisti viventi più pagati al mondo.
Genio, provocazione, follia, esagerazione, disgusto, protesta…tutti termini che si sposano alle opere e alla figura dell’artista londinese, eppure il susseguirsi della ricerca tra comunicazione e attenzione alla storia dell’uomo contemporaneo rendono Damien Hirst, di opera in opera, sempre più famoso, un unicum nell’arte contemporanea.
L’assoluta macabra follia prende l’avvio nell’opera For the Love of God, (2007), una morte brillante e luccicante. Appare un vero teschio umano fuso in platino con denti veri e perfetti, senza difetti e ricoperto di diamanti ad indicare la preziosità della vita e della stessa morte, in maniera provocatoria.
Il tema della morte evolve nel tempo nel tema della religione come nelle opere con le ali di farfalle che sono utilizzate come stampi per rappresentare dei mandala a ricreare forme simili ai rosoni delle cattedrali gotiche, dove l’effimero, la fragilità, la vita stessa si consegna nelle mani di un dio e di una spiritualità che travalica la vita terrena.
Con le sue opere Damien Hirst ha quasi sempre l’intenzione di provocare uno shock emozionale e visivo: è una maniera unica di instaurare una partecipazione diretta con lo spettatore.
Nelle intenzioni dell’artista la comunicazione delle idee è più forte della realizzazione delle idee stesse, le sue opere diventano un marchio, un simbolo che veicola in questo modo diversi significati. È per questo che l’artista non realizza e non crede che sia necessaria l’abilità tecnica nella realizzazione delle sue imprese artistiche. Fisicamente non si presta all’esecuzione manuale di ciò che viene creato: sono altri che lavorano e operano per lui, l’artista comunica idee non opere.
Il suo profilo Instagram @damienhirst se lo gestisce lui, direttamente, senza bisogno di assistenti e società di comunicazione, il profilo è una sorta di diario visivo dove sono postate opere passate e presenti. Un’azione che gli permette di avere un linguaggio globale con l’uso dei social network che veicolano le idee, le immagini, lo stile e l’intervento diretto dello stesso artista.
Esperto commerciante, uomo del marketing e dell’innovazione con la sua modalità acquisita nel passato come venditore telefonico veicola così le sue idee che diventano significative quando si trasformano in opere d’arte. La tecnica delle opere prêt-à-porter, ad esempio, gli permette di realizzare e non vendere l’opera originale, ma una copia o esempi che si ispirano alla stessa, come avviene appunto nella moda, ponendo l’attenzione sulla riproducibilità artistica e sul valore di tecnica e originalità. Chi colleziona prende con sé le idee dell’artista, il suo effimero concetto di arte o semplicemente l’opera? Questi “prodotti” diventano un veicolo per rappresentare ciò che si vuole esprimere, quindi anche la copia più assumere più valore dello stesso originale.
Del 2017 è la mostra a Punta della Dogana a Venezia presso la Fondazione Pinault, Treasure From The Wreck Of The Unbelievable , è la mostra che consacra Damien Hirst come colui che non solo provoca polemiche e caos, ma che svela l’artista contemporaneo e ne decreta l’immenso lavoro e la genialità assoluta in un’esposizione che raccoglie le forme artistiche dell’ultimo secolo. In questa mostra non si parla solo di pittura, di scultura, di architettura, ma di un mondo visivo completo, dove si inseriscono una serie di performance che diventano anche film e documentario, azioni in cui si racconta una storia, una grande storia che potrebbe raccogliere la vicenda dell’Uomo e che si celebra in racconto inventato di un relitto vicino alle coste africane da dove si recuperano le idee che si materializzano nelle opere.
Bugia? Beffa? Fantasia? A cosa siamo disposti a credere? La mostra, come tutta l’arte di Damien Hirst è davanti ai nostri occhi, in fondo, tutti crediamo in quello a cui vogliamo credere. Perché allora non raccontare una storia che sembra vera? O meglio, perché non fare della fantasia una storia? La sensazione è quella di immergere lo spettatore in un mondo di cui lui fa parte, di cui noi, con l’arte, ne siamo parte.
Nel luglio 2021 Damien Hirst lancia la sua prima collezione di nft The Currency, diecimila opere original, dove, per ogni opera, ai collezionisti interessati è stata data la possibilità di scegliere tra acquistare gli nft – a circa 2mila dollari l’uno – o invece la versione fisica dell’opera.
Fin da subito l’operazione dell’artista britannico è stata chiara: dal momento in cui l’acquisizione di una delle due versioni dell’opera sarebbe stata completata, il corrispettivo sarebbe stato distrutto.
La galleria londinese Newport Street fornì alla fine dell’operazione i dati della vendita: 5.149 collezionisti acquistarono la versione fisica dell’opera, mentre i rimanenti 4.851 la versione nft. Lunedì 10 ottobre Damien Hirst ha fatto sapere ai suoi follower che avrebbe bruciato circa mille delle sue opere il martedì in diretta streaming.
L’nft non è l’opera digitale acquistata dal pubblico, ma è il certificato di proprietà che dimostra che l’opera, originale e firmata digitalmente dall’autore, è di proprietà dell’acquirente/collezionista.
Sul suo profilo Instagram Damien Hirst scrisse: “Molte persone pensano che stia bruciando milioni di dollari di arte ma non lo sto completando, sto completando la trasformazione di queste opere d’arte fisiche in nft bruciando le versioni fisiche.
Il valore dell’arte digitale o fisica che nella migliore delle ipotesi è difficile da definire non andrà perso, sarà trasferito alla nft non appena saranno bruciati”.
Massimiliano Sabbion