Pubblicato il 27 ottobre 2015 in http://vecchiatoart.blogspot.it
“Io, Pina, ho una caratteristica: loro non lo sanno, ma io sono indistruttibile, e sai perché?
Perché sono il più grande “perditore” di tutti i tempi. Ho perso sempre tutto:
due guerre mondiali, un impero coloniale,
otto – dico otto! – campionati mondiali di calcio consecutivi,
capacità d’acquisto della lira, fiducia in chi mi governa…
e la testa, per un mostr… per una donna come te”
(Ugo Fantozzi)
A Marco,
capace di trasformare un sorriso in un risultato eccezionale!
In occasione della 10ª edizione della Festa del Cinema di Roma è stata presentata la versione restaurata in digitale del film “Fantozzi“, uscito esattamente quaranta anni fa, il 27 marzo 1975, per la regia di Luciano Salce, l’avvenimento ha visto una piccola reunion con Paolo Villaggio, interprete del ragioniere Ugo Fantozzi, Plinio Fernando che ha dato il volto alla figlia Mariangela e Anna Mazzamauro nel ruolo della signorina Silvani, il film ritornerà nelle sale italiane il 26, 27 e 28 ottobre.
La figura dello sfigato ragioniere è più che mai attualissima nell’Italia contemporanea, fatta di incertezze, di tagli e tasse ai limiti della povertà, con la globalizzazione sempre dietro l’angolo.
Il ragionier Fantozzi ci fa vedere un’Italia degli anni Settanta che non c’è più, con il miraggio del posto fisso e la semplicità che sfiora il ridicolo: le vacanze intelligenti, le partite di campionato da seguire, la sottomissione fatta da megadirettori e il nucleo famigliare dove il protagonista è il vero re della casa.
L’uomo contemporaneo è il condannato alle frustrazioni quotidiane fatte di sconfitte, sfortune e una buona dose di rassegnazione cronica illuminata a tratti da sprazzi di dignità che lo rendono protagonista dei famosi e decantati “15 minuti di celebrità” profetizzati da Andy Warhol.
Ecco quindi l’uomo medio apparire nei reality e nei format televisivi per mostrare i suoi talenti nascosti, postare filmati su youtube, fotografe il cibo che mangia per divulgarlo tramite Instagram, Twitter o mettere un”mi piace” su Facebook per contornare le giornate di frasi fatte di “vivi l’oggi come se non ci fosse un domani“.
Fantozzi o si ama o si odia, perché? Perché rappresenta la vita di tutti i giorni, fatta di problemi e realtà da cui molto spesso si vorrebbe scappare.
Ci si sveglia vicino ad una moglie come Pina, non accanto ad una top model, le figlie degli altri sono tutte più carine di Mariangela e per i figli si desidera il meglio, c’è sempre una signorina Silvani alla quale segretamente riporre le proprie fantasie e speranze amorose che, puntualmente, saranno ignorate e derise, e tutti hanno un collega come Filini a cui tutto va sempre bene e a gonfie vele e, spesso, meglio di noi.
I risultati non cambiano nell’ambiente di lavoro fatto di “megadirettori” e scombinati congiuntivi, vessati da uffici ripetitivi e crudeli, nuove classi operaie super specializzate che si riversano in call center e back office dove si parla un “italiese” trasformato in “inglesismo” fatto di feedback, open point, briefing, target… Si sopravvive.
Si, Fantozzi o si odia o si ama perché racconta la nostra vita, lui stesso vittima tra le vittime e quindi più vicino a noi, sfigati contemporanei e allora, appunto, o si odia o si ama, come la quotidianità presente dove la tecnologia tra smartphone e tablet, wifi, collegamenti e giga hanno invaso il nostro “quieto vivere“, dove ci si affanna tra palestre ed estetica che ci vuole omologati sempre più. Qualcuno dirà che la visione qui descritta è forse troppo tragica, anzi tragicomica come la vita fantozziana, termine entrato nel linguaggio comune, già.
Sono anche abbastanza consapevole e buono nel descrivere la situazione, lo so, e ora ci sta bene un “com’è umano lei” alla Fantrozzi e, si, sono essenzialmente umano e perciò fantozziano in quanto vivo il tempo della mia generazione dove l’attenzione non si sposta oltre i tre minuti di un video caricato su youtube.
L’uomo, ha sempre cercato la rappresentazione di un ideale per tramandare ai posteri la visione estetica e culturale del periodo in cui vive, affidandosi agli artisti nel corso dei secoli si è passati dalla bellezza scultoria di un David di Michelangelo ai ritratti di giovani raffaelliani, ai penetranti sguardi aristocratici Ottocenteschi fino alla bellezza di linee smembrate e ricomposte cubiste e picassiane.
Il cinema ha consegnato poi nuovi miti, nuove bellezze e nuovi ideali creando le star che si susseguono da Rodolfo Valentino a Marlon Brando per approdare a incanti androgini come David Bowie o rassicuranti come George Clooney e il dottor Stranamore, Derek Shepherd, della serie tv Grey’s anatomy.
Ma la realtà è che nell’ultimo decennio l’ideale maschile, così come l’Uomo contemporaneo, si è trasformato e adattato ai tempi, sempre più con i piedi per terra, sempre più Fantozzi pronto a nuove sfide a combattere guerre quotidiane per il posto di lavoro, per il parcheggio da trovare, i bambini da portare a scuola, il corso di zumba, le tasse da pagare, le occasioni online, le chat, il sushi da prenotare, il futuro da sognare.
In fin dei conti se anche un sex symbol come Jonny Deep si trasforma in uomo comune, basta vedere le ultime foto della star ingrassata e sciatta, possiamo di sicuro che dire che il sistema fantozziano ha vinto.
È lui, Fantozzi, l’uomo moderno, è l’uomo futurista decantato da Filippo Tommaso Marinetti dove la rivoluzione antropologica ha creato l’uomo nuovo che si identifica sempre più con la macchina, con la tecnologia e il sempre vivo potere della creazione che cambia in modo definitivo l’uomo stesso.
Il ragionier Ugo Fantozzi è il decantato uomo futurista, è “uno di noi“, un Freaks, come l’omonima pellicola del 1932 di Tod Browning, in perenne lotta con se stesso e i propri simili in una giungla di sopravvivenza, prigioniera di spazio e tempo che deve sempre fare i conti con il passato storico, con la famiglia, con la tradizione, con le circostanze e le convinzioni occidentali e cattoliche mentre il mondo attorno cambia, in un costante mutamento e alla ricerca di superare se stesso e arrivare preparato al futuro.
Condensando questa “indagine di sé” in un mondo dove vige un pubblico intellettualistico, snob e radical chic, pronto a imporre una cultura stereotipata come non ricordare la storica frase del mite ragioniere costretto a vedere per l’ennesima volta il film La corazzata Kotiomkin, film fittizio ispirato parodisticamente a La corazzata Potëmkin di Sergej M. Ėjzenštejn: «Per me… La corazzata Kotiomkin… è una cagata pazzesca!»
Già, come molta cultura e arte concettuale capita solo da chi la produce e consuma, forse aveva proprio ragione Fantozzi, non sarà che tutto quello che ci circonda a volte è frutto solo di “una cagata pazzesca!“?