A Simone Berno,
un sognatore che “perde” opere per il mondo
Il gusto per ciò che consideriamo bello o brutto, si sa, è notevolmente cambiato nel corso degli ultimi decenni, complice forse anche la crescente industrializzazione che ha prodotto oggetti seriali e alla portata di tutti tralasciando molto spesso il senso estetico e la ricercatezza fatta di forme e colori che ne possano quindi decretare bellezza e piacevolezza nella possessione di tal prodotto e gioia beata degli occhi e dell’anima.
Bene,tutti questi concetti sembrano poi siano stati scordati a mano a mano che l’uomo moderno ha sentito l’esigenza di bramare, avere, fruire le cose a scapito di una bellezza oggettiva o soggettiva e si è infine passati a circondare il nostro spazio vitale di “lavoretti” e non certo di “opere d’arte” che sfiorano il gusto per l’orrido, sublimano nel kitsch e sconfinano poi nel trash.
La frase più terribile che oggi si possa sentire nel mondo dell’arte è una: “Sai,anch’io FACCIO l’artista!”.
Marcel Duchamp ci aveva visto giusto quando con i suoi ready made e gli objects trouvé, smise infatti di pensare alla produzione artistica a favore di opere d’arte già confezionate e pronte per la massa: è bastato capovolgere il significato e il significante di un semplice orinatoio o di un portabottiglie e titolarlo in maniera ex nova per trasformare l’orrore industriale in un’opera unica.
Con la Pop Art e i geniali suoi artefici, Andy Warhol in primis, la ripetizione sistematica quasi a perdita d’occhio di Coca Cola e zuppe Campbell’s sfocia successivamente nella serialità delle Marilyn Monroe e le star degli anni Sessanta: la differenziazione tra oggetto da scaffale consumistico in un supermercato, simboli mediatici e icone si abbatte.
L’originalità, l’artigianato, le belle arti insomma sembrano via via sparire nel corso del tempo e prima o poi nelle case dell’intero pianeta fanno capolino oggetti di dubbia provenienza e beltà ripetuti e commercializzati nei centri arredamento o negozi di oggettistica varia.
Insomma, dall’idea all’Ikea il passo è breve, i costi abbattuti, l’omologazione sempre più vicina, l’originalità sempre più lontana.
Il guaio di fondo sta negli artisti e di conseguenza nella stessa creatività, entrambi hanno effettuato un giro di boa nel mare della fantasia e invettiva: si assiste (e si è assistito) ad un impoverimento delle arti con poca ricerca, poco stimolo, poco scambio e iterazione, certo, le eccezioni ci sono sempre ed è facile trovare grandi opere e grandi uomini così come imbattersi in grandi artisti.
La tecnica, lo stile, l’uso dei materiali, lo studio non sono cose che si trovano ben disposte in uno scaffale di un qualsiasi colorificio, i mezzi ci sono, manca spesso però l’input corretto.
Non si vende più l’opera d’arte, anzi, la si svende, meglio una grafica serigrafata e distribuita nei centri commerciali ed essere fruibile a chiunque od essere semisconosciuti ma originali?
A volte si assiste all’effetto contrario: uso la massa per essere conosciuto, regalo le emozioni, trasmigro idee ed è doveroso quindi citare l’esempio di un artista padovano, Simone Berno, protagonista qualche mese fa di un’operazione che ha un suo sapore tutto particolare tra la goliardata e la performance, tra l’abbattimento dell’omologazione dell’unicità del gesto.
Riassumiamo l’azione di Simone Berno in poche righe: arte da rubare, questo il suo concetto base, io artista creo e regalo, anzi, invito al furto d’arte l’opera che è messa a disposizione degli sconosciuti in luoghi di varie città e chi la trova la prende e porta a casa.
Un’azione unica, un gesto e un’opera esclusiva ed originale, ma cosa accade quando l’evento in questione si sposta all’interno dell’Ikea? Io, semplice cliente della catena svedese sono invitato al furto legalizzato e a portarmi a casa non certo una cassettiera Malm o una libreria Billy,ma un’opera d’arte irripetibile, lì abbandonata e in cerca di chi voglia farla sua.
Il mondo d’oggi però ragiona in maniera seriale, non sognatrice, non poetica se la stessa poesia poi non porta a qualcosa di concreto, quindi? L’azione si fa legata ad una sottrazione di beni, la confusione su ciò che sia e su chi appartenga l’idea sia di Ikea o di chi usa Ikea.
Risultato di tal operazione? È Berno o costerno? Sequestro dell’opera, perduta nel limbo e protagonista del niente.
Ecco, per una volta tanto che si esce dagli schemi la paura fa Novanta, forse aveva ragione Duchamp nel rovesciare un orinatoio: c’è chi vede un cesso capovolto, chi invece un concetto diverso; del buon Berno che dire? c’è chi ha visto un furto e chi un regalo inatteso.
C’è chi vive con un’idea e chi si impacchetta una cornice anonima Ikea…
E tutto passa.