Si parla sempre più spesso di salvaguardia del patrimonio culturale, a volte con la paura di perdere la propria identità storica e la propria cultura d’origine. È bello che ci sia un interesse così radicato e sentito dalla gente per il territorio e il passato anche se spesso molte scelte su come gestire questo patrimonio è più che mai discutibile.
Archivio autori Massimiliano Sabbion
Memore delle lezioni dei maestri del passato e della ricerca compiuta negli anni, Silvia Scuderi si presenta all’occhio dello spettatore come una “viaggiatrice visiva” che ha portato con sé l’esperienza di un presente fatto di memoria, di visioni oniriche, di immagini che rimandano alla natura attraverso vedute paesaggistiche e particolari naturali in una immersione totalizzante che fonde cielo e terra, il visibile e l’astratto.
Corsi d’acqua che si specchiano tra le fronde di una flora ribelle e prospera, rocce che sedimentano secoli e stratificazioni del tempo, paludi e canneti, spazi immensi contrapposti a sguardi che occupano tutta la tela mostrando, a volte, un particolare riconducibile ad una natura di più ampio respiro.
Damiano Fasso nei suoi lavori usa materiali contemporanei simbolo e segno dei tempi in evoluzione: plastiche, smalti fluorescenti, supporti trasparenti che si fondono tra colori e forme nuove insieme a polvere da sparo e veleni.
Quello che si crea è un gioco sinuoso di ambiguità e dicotomie di una società contemporanea contaminata e in collegamento.
Il silenzio è fatto di tanti piccoli rumori, il silenzio della creazione è circondato dal ronzio di sottofondo del pc e dai battiti delle dita sulla tastiera, da una musica che proviene da qualche autoradio di un’auto che passa, dal vociare dei bambini che giocano a calcio lungo la strada del quartiere, dai propri pensieri che frullano in testa.
Il silenzio quindi è la base delle idee che nascono in mezzo ai rumori del quotidiano, anche quando si cerca l’isolamento da una voce e in un momento quella voce ritorna nella testa più viva e reale che mai, basta un ricordo a farla riaffiorare, un profumo, un’immagine.
Perché ci piace l’arte? Perché ogni giorno si cerca di circondare lo sguardo con cose piacevoli e che suscitino piacere ed emozione? Perché il fascino di forme e colori è così importante nella nostra vita?
Da quando l’uomo è nato, esistono il gusto e il piacere per il bello soggettivo ed oggettivo: ciò che piace è il risultato di un insieme di formulazioni dettate dalla società, dalla cultura, dal momento storico.
“Io di arte non ne capisco niente!“, una frase lapidaria per mettere le mani avanti e nel contempo eliminare completamente l’aspetto legato alla cultura e al sapere storico che ci ha condotto fino ad oggi, fino al mondo contemporaneo.
È più facile trincerarsi dietro una parvenza di ignoranza che colmare le lacune, perché poi la frase sopracitata è sempre successivamente accompagnata come scusante su quello che non si sa?
“Però se mi chiedi dell’ultima edizione del GF so tutto!”, “A scuola non abbiamo fatto arte”, “Comunque ho letto l’ultimo libro di “Cinquanta sfumature” e?”, “Ci sono cose più importanti da sapere dell’arte…”
I dubbi e le perplessità avranno sicuramente attanagliato gli artisti del passato così come succede con quelli del presente, le domande che ognuno si pone sulle proprie capacità, sulla ricerca effettuata, sulla strada da percorrere rimangono attuali in qualsiasi stagione ed epoca.
Le paure e le ansie di Michelangelo davanti ad un blocco di marmo da scolpire, la grandezza dei muri da dipingere da parte di Andrea Mantegna, l’incertezza davanti ad una tela bianca per Jackson Pollock, le sequenza cromatiche e vibranti per Mark Rothko.
“Ci si domanda il perché di tante cose, ma guai a continuare:
si rischia di condannarsi all’infelicità.”
(Fahrenheit 451 – Ray Bradbury)
Si fa fatica a pensare ad un mondo in bianco e nero, nonostante la gamma dei grigi di mezzo che ne danno ricche sfumature sempre bianco e nero rimane, tornano alla memoria l’eleganza di certe immagini, la bellezza di vecchi album fotografici dei nonni in posa col vestito da festa intenti a guardare seri l’obiettivo, film del passato dall’audio costantemente ricco di fruscio di sottofondo e poi ancora vecchi documentari che filmano le due guerre mondiali, impensabile pensare al passato senza coinvolgere il bianco e nero.
Quindi il tempo che è trascorso e che non ritorna, la memoria, è in bianco e nero? Allora il presente è a colori?
“Non c’era tafano sul dorso d’un cavallo, pertugio di tarlo in una tavola,
buccia di fico spiaccicata sul marciapiede che Marcovaldo non notasse,
e non facesse oggetto di ragionamento,
scoprendo i mutamenti della stagione,
i desideri del suo animo,
e le miserie della sua esistenza.”
(Marcovaldo – Italo Calvino)
L’uomo riesce ancora a stupirsi? Il senso di meraviglia, di immersione totale nelle cose e la sensazione di riempimento degli occhi e del cuore è ancora attuale?
Spesso si passa indifferenti di fronte agli spettacoli offerti dalla natura, dalla gente che ci circonda, da un’opera d’arte vista dal vivo o come semplice immagine in un libro o in un social network, davanti agli occhi possono passare quotidianamente nuove emozioni e, noi, presi costantemente dalla frenesia della vita, non ce ne accorgiamo, molto spesso scivola tutto addosso e passa.
È possibile nutrirsi con l’essenziale, ma non si può rimanere senza anima, anima? No, volevo scrivere “acqua”, ma scrivendo nella fretta complice la velocità, dai tasti della mia tastiera nera del pc è uscito “anima”, senza volerlo e senza accorgemene, il tutto smanettando dal file della cartella “musica” per mettere una playlist come sottofondo, ed ho scritto “anima”.
Colpa della distrazione o lapsus voluto e ricercato inconsciamente? Colpa della playlist? Colpa dell’acqua o dell’anima?