Pubblicato in settembre 2005

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La materia per Maurizio D’Agostini è il contatto, è la fisicità quasi sensuale, l’appartenenza ad un mondo in cui la pietra, il marmo, la creta o il semplice sasso del fiume Brenta sono il veicolo per la nascita di una creazione.
L’importanza che la corporeità del materiale assume nella creazione di un atto così fisico, è dato dal contatto che l’artista proietta nel plasmare, scolpire, trasformare l’elemento primordiale per cui la materia con la quale lavora non viene tramutata in qualcosa d’altro ma trasmette la vera voce che aspetta solo di uscire ed essere ascoltata. Il contatto diretto dello scultore che con le proprie mani tocca, soppesa, accarezza e trasuda lavoro, si percepisce nel risultato dell’ opera completa quando anche il vento e la luce ne modellano la forma; non un togliere alla materia, non un disporre un di più ma un semplice dialogo tra autore, opera e spettatore.
Ecco perché di fronte ad una scultura di D’Agostini ci si lascia coinvolgere da un muto dialogo di percezione: le sue figure guardano lo spazio verso un infinito trasognato e magico, sospese in un tempo onirico e sacrale; la materia sprigiona il suo massimo punto d’unione avuto con lo scultore, quasi come una bella donna, figure ricorrenti nelle opere di D’Agostini, che si sia lasciata amare e possedere ed ora nell’atto supremo della sua bellezza parla con quel muto assenso che si traduce in poesia. La sensazione passa dalla mente e partecipa nel cuore, si sciolgono gli elementi che concorrono a gridare alta questa unione quali il vento, la luce e lo spazio che si ferma.

Maurizio D'Agostini, L'Astronomo, 1994
Maurizio D’Agostini, L’Astronomo, 1994

 Tutto scaturisce dalle mani di un uomo, che toccano e vivono la corporeità della fisicità dell’elemento formato; non si può parlare di plasmazione o creazione dell’opera per D’Agostini ma di liberazione: vede l’anima che aspetta di essere colta, sia essa racchiusa e sopita in un sasso o in una pietra, semplicemente traduce la materia nella forma per la quale è nata.
La mano rappresenta lo strumento, la funzione simbolo del lavoro fisico che D’Agostini, quale interprete palpabile delle sue opere, impegna come congiungimento tra poesia e scultura. È importante per l’artista la scelta del materiale, il contatto fisico che si crea, l’alchimia che scatta nel carezzare la pietra, il sentire l’elemento vivo di un lavoro sanguigno e carnale: è l’inizio di congiungimento e atto di nascita del suo operato.
La vita e l’esperienza passata dell’artista si trasferiscono direttamente nelle sue sculture, le sensazioni che nascono al ricordo di enigmatici significati si percepiscono in maniera ieratica e sacrale di fronte ad un’opera in bronzo come “Al Dio monolitico” del 1999, dove un ricordo dal sapore metafisico si lega ad una proiezione che ricorda il monolite totemico di antiche culture tribali e, allo stesso tempo, la rappresentazione di un Dio futuristico e fantascientifico del film “2001: Odissea nello Spazio” di Kubrick.

Maurizio D'Agostini, Il silnezio, 2000
Maurizio D’Agostini, Il silnezio, 2000

Caratteristica dell’arte scultorea di D’Agostini è porre una figura, a volte sessualmente poco riconoscibile o spesso di carattere androgino, di fronte ad un elemento che si contrappone come alter ego della stessa persona; assorta davanti ad una finestra aperta con lo sguardo che si espande nell’infinito, come nell’ opera “Il silenzio” del 2000, dove il guardare oltre l’apertura porta a spaziare oltre la fisicità, oltre la mente che concepisce il senso materiale in una realtà magica e sognante.
Proprio lo sguardo dell’insieme, gli occhi, la visione hanno grande rilevanza nell’artista, esteta della forma e dell’immagine che parla in vibrazione con il presente, le stesse figure che si librano in giochi di equilibri su cattedrali immaginarie o fissano la vista in punti non definiti si staccano da quella materia lambita per approdare invece in un mondo segreto che va al di là dello sguardo umano, anzi, gli stessi occhi si perdono, non servono, vengono chiusi o bendati come nella scultura del 1994L’Astronomo”, poiché si vede oltre, lo sguardo interiore come nei veggenti che interpretano i segni, le criptiche parole degli dei; le sue figure lontane, levigate, pure, hanno raggiunto un’identità spirituale e armoniosa vicine ormai alla comprensione del mistero profondo dell’identità dell’uomo.

Maurizio D'Agostini, Il navigatore solitario, 2001
Maurizio D’Agostini, Il navigatore solitario, 2001

 Paragonate a figure fantascientifiche di “Blade Runner” vedono cose che noi “umani non possiamo nemmeno immaginare”, le forme diventano asessuate e chiuse, avvolte da un’energia che sembra materializzarsi come guscio protettivo creando assonanze con le pagine di un libro sulle quali la loro storia è scritta.
Pagine cariche di storie da raccontare, tracce di letture assaporate ed amate, di viaggi vissuti e ricalcati in un gesto tutelare, caldo e stretto, come un abbraccio.
Pagine che riportano un rifugio sicuro, pronte per una nuova avventura e un nuova arrendevole scoperta, così, come “Viaggio verso l’ignoto” una delle ultime produzioni create in bronzo, dove le due figure al centro dell’opera, quasi remoti e primitivi monoliti, quasi figure di sarcofaghi, scrigni antichi di vita e bellezza, si uniscono in un gesto protettivo e consolatorio e proiettano, ancora una volta, lo sguardo accennato verso quell’ignoto che fa paura e li circonda, come onde di un mare che li chiude e si infrange nella loro statuaria armonia.
L’ignoto, qui visto come il mare nostrum, ritorna spesso nelle figure racchiuse in conchiglie, elementi primordiali di vita, e le onde del mare che si tramutano in fogli di libro e si librano nel volo protettivo verso l’ “Educazione dell’anima”, un’istruzione profonda, scenografica ed espressiva come D’Agostini ha modo di mettere in pratica nella sua poesia scultorea.
Lo scultore risente delle esperienze e influenze del mondo d’oltralpe, visionario ed onirico sospeso nel sogno e nella magia della scultura che vive nel suo amore per la Francia, per le pietre dei luoghi dove ha vissuto e scolpito, pietre che parlano all’uomo della loro storia e attendono di essere liberate nella loro anima.
L’arte diventa lo specchio della vita, apre un dialogo con l’osservatore, non ci sono segni astratti o incomprensibili, ma simboli e forme che fanno parte di un universo intimo, dove la fantasia intrisa di momenti magici, crea immagini che trasmettono la dimensione poetica e il mistero ancestrale della gioia di vivere.

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