Pubblicato il 28 aprile 2015 in http://vecchiatoart.blogspot.it

Il divismo, nato quasi in contemporanea con la nascita del cinema, ha prodotto, e continua a produrre, nuove icone e stelle che assurgono a diventare dei in un olimpo dorato fatto di grandi bellezze, grande sfarzo e soprattutto di grandi illusioni: tutto ciò consente allo spettatore di sognare.
È un mondo sconosciuto ai più ma dove c’è un gusto quasi grottesco e perverso nel sapere, attraverso il gossip, che “anche i ricchi piangono”!
Nei film si ricreano personaggi che vengono amati e idolatrati dal pubblico fino a diventare delle semi-divinità in cui la giovinezza sempre eterna e le loro vite meravigliose invadono l’immaginario collettivo.
Anche quando i miti crollano, attraverso la fredda meccanica del cinema e della moda, essi rimangono miti: “Io sono sempre grande, è il cinema che è diventato piccolo!” come ci ricorda Norma Desmond il personaggio interpretato da Gloria Swanson in “Viale del Tramonto” film del 1950.

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Negli anni Trenta il surrealista Salvador Dalì trasforma icone del tempo in opere d’arte, ne sono esempi: la bambina prodigio Shirley Temple nella tela Shirley Temple, il più giovane mostro sacro del cinema (Sfinge di Barcellona) (1939) e il Ritratto di Mae West che può essere usato come appartamento (1935) dove mette in scena una stanza con i mobili che hanno le fattezze dell’attrice, arrivando a realizzare un divano con la forma della bocca della diva, icona del sesso e dell’ironia.
Ma si dovrà attendere il boom economico della ripresa dopo la seconda guerra mondiale con l’idea di un’arte consumistica e popolare con la Pop Art per vedere come le stesse stars diventino a loro volta inconsapevoli icone.

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Gli anni Sessanta segneranno la fine e l’inizio del divismo dove prima la star era riconoscibile solo al cinema ed era avvolta da un alone misterioso ora, con la televisione, questo seduzione del mistero finisce: si spezza l’incantesimo della divinità.
E il viaggio continua in Mimmo Rotella con i suoi décollage o nelle opere di Peter Blake, si parla di un fenomeno che invade il mondo intero prima ancora di pronunciare terminologie nuove come mass media e globalizzazione.
Il più famoso artista che ritrae le celebrità rimane Andy Warhol con la serie di ritratti dove mette in scena non ciò che sono ma quello che rappresentano.
Marilyn Monroe non è la fragile donna dagli amori difficili e in preda alle sue nevrosi, quella che è rappresentata è l’icona Marylin, l’alter ego di Norma Jeane Baker, ed ecco che il ritratto si carica di valenze simboliche: il pubblico pagante vuole vedere Marylin sullo schermo, non Norma Jeane Baker e Warhol li accontenta: trucca la diva in maniera pesante con grandi labbra rosse, ombretto caricato, biondissima e la restituisce ai suoi fans: ecco la star. È Hollywood! “Un posto dove ti pagano 1000 dollari per un bacio e 50 centesimi per la tua anima” come ricorda poi la stessa Monroe.

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Un gusto che si affinerà nelle opere kitsch di Jeff Koons dagli anni Novanta in poi, quando inscena i suoi amplessi con la ex moglie Ilona Staller o realizza oggetti di grandi dimensioni.
Di “cattivo gusto” le scelte dei nani da giardino di Ottmar Hoerl e le provocazioni di Damien Hirst o le foto al limite del pornografico del popolo tutt’altro che timido degli ultimi anni di Terry Richardson.
Kitsch sono ora le tematiche dei tanti reality show, il trash del dilettante, una evoluzione del kitsch di puro esibizionismo.
Nascono ogni giorno nuove icone che dettano moda e pensiero e diventano le nuove stars e muse degli artisti, un esempio fra tutti? L’ereditiera Paris Hilton famosa per non sapere fare niente e saperlo fare bene, “famosa per essere famosa” come è stata definita.
Diventata l’ispiratrice di opere come Paris Hilton Autopsy (2007), scultura di Daniel Edwards o ritratta attraverso un collage di riviste porno dall’artista Jonathan Yeo (2008).
È un’operazione che ha più un sapore pubblicitario che artistico, un merchandising del trash insomma.

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