Pubblicato il 02 maggio 2017 in http://vecchiatoart.blogspot.it
“Tutti gli esseri umani vogliono essere felici;
peraltro, per poter raggiungere una tale condizione,
bisogna cominciare col capire che cosa si intende per felicità”
(Jean-Jacques Rousseau)
Cos’è la felicità? Un morso ad una mela per spezzare la fame? Bere da un rubinetto di una fontana dell’acqua fresca? Guardare le nuvole dopo il temporale? Sentire le risate di un bambino? Leggere e concludere il finale di un libro? O come diceva Charlie Brown “La felicità è accarezzare un cucciolo caldo caldo, è stare a letto mentre fuori piove, è passeggiare sull’erba a piedi nudi, è il singhiozzo dopo che è passato”?
Qualunque sia il metro di giudizio per decretare la felicità l’importante resta “la procura di un piacere”, ciò che crea emozione è la responsabile primaria della nostra felicità.
Una volta soddisfatti i bisogni primari la “cura” si sposta verso la ricerca emotiva della gratificazione data da ciò che procura il piacere della felicità stessa per l’appunto.
Il nostro corpo poi, è scientificamente provato, ne trae beneficio, le cellule tutte ne godono e la felicità, mista al piacere, cambia in positivo la qualità della vita.
Sarà per questo che chi si appassiona all’arte e alla cultura poi apre le porte ad una visione e ad un apprezzamento della vita totalmente differente da chi si accontenta solo di ricercare una mera soddisfazione oggettiva e personale.
Cosa scatena nell’uomo la passione per l’arte? Cosa reca in questa visione la felicità che ne ricava? Un quadro con i suoi colori e forme, una scultura con i suoi pieni e vuoti nello spazio, un accordo musicale con i toni e le melodie, si apprestano a suscitare ricordi, vaghi pensieri, piccole gioie di godimento, creazione di mondi sognanti personali e non condivisibili e silenzi che parlano più delle parole stesse.
Tutto questo si tramuta in felicità, tutto si impone piano piano nelle cose quotidiane, una cascata che finisce per sommerge il proprio io interiore per finire a scaldare l’animo stesso.
Non importa se ci si approccia ad un soggetto figurativo o astratto, ad una immaginifica visione concettuale o sensoriale, quello che scatta e che fa correre il gusto del piacere prima e della felicità poi è indifferente.
Un’emozione può nascere dalla visione di un campo di papaveri di Claude Monet, in cui i colori si fermano sulla tela con la velocità esecutiva di chi voleva cogliere l’attimo e regalarlo poi a chi lo guarderà.
Un sussulto passionale può innestarsi di fronte alle tele di Mark Rothko con le sue immense campiture di colore che arrivano a far vibrare l’anima, dove riempire uno spazio di una tela significa riempire l’occhio che arriva a suscitare emozioni.
La scultura di Costantin Brancusi, ad esempio, ferma lo spazio, accarezza le strutture e solidifica un’idea, un suono che si fa forma e lascia agli occhi il compito di intercedere per far vivere l’opera stessa.
Questo è il compito dell’arte, fermare gli istanti per restituire la felicità, l’arte è bella perché in fondo è inutile, forse superflua, ma in fondo unica e il bisogno dell’uomo di esprimersi con i materiali e i colori si trasforma poi in un linguaggio universale dove si abbattono le lingue, le idee e tutte le differenze perché si parla un solo idioma che non tiene conto delle diversità di classe, di razza, di sesso, di religione, l’arte ha un solo scopo: produrre il piacere e recare la felicità.
Seduti ad ammirare un’opera d’arte in un museo, in una galleria o in uno spazio espositivo l’occhio si sofferma poi sempre sugli altri sconosciuti visitatori, cosa li ha portati in questi luoghi oggi e a vedere le stesse cose che stiamo osservando noi? Quali le loro emozioni e la felicità? Perché un’opera viene analizzata più di un’altra? Proveranno le nostre stesse sensazioni o sono invece differenti poiché diverse sono le impressioni?
Non c’è un metro di giudizio né una realtà emozionale più forte di un’altra, la ricerca della felicità è un incarico che è affidato in maniera disuguale ad ognuno, ma il risultato non cambia: l’arte rende felici, è nostro dovere esserlo, è nostra responsabilità perseverarla e diffonderla, la felicità interiore si riflette poi nella continuità del quotidiano e una persona felice è il miglior biglietto da visita per l’arte, per la vita.