Pubblicato il 27 settembre 2016 http://vecchiatoart.blogspot.it

Quando la creatività si mette in moto si sa come parte, ma non si sa quale sia il risultato finale che porta a concepire la parola fine ad un’opera.
Spesso non si arriva al risultato finale convinti al cento per cento per poi riprendere e ritornare a parlare con un nuovo linguaggio arricchito oppure, al contrario, si dimentica tutto e si lascia il passato e le ricerche fatte per altre future.
Nel passato artisti come Leonardo o Michelangelo hanno continuato a studiare e apportare modifiche ai loro soggetti cercando sempre di trovare nuovi mezzi tecnici ed espressivi.
Nel momento in cui un creativo si mette in gioco non sarà mai soddisfatto del risultato in maniera completa poiché sempre ci sarà un’idea di partenza che non coincide con la parte conclusiva.
Non si tratta di essere volubili nel concepire le idee e dar poi loro forma, anzi, semplicemente ci si trova a dover fare i conti con l’evoluzione del momento quando si dà struttura a quello che si plasma.
Instabilità logica nell’atto creativo? No! Tutt’altro, mente sempre aperta e pronta ai cambiamenti e a strutturare un progetto che a mano a mano prende forma.
Les demoiselles d’Avignon” di Pablo Picasso è l’esempio di come il prodotto finale sia il risultato di una serie di studi, ripensamenti, modifiche e confronti che trovano poi conclusione solo con l’opera presenta al pubblico nel 1907.
I successivi lavori di Picasso partono poi da qui, quasi fosse un proseguo dell’opera cominciata che darà vita poi al movimento del Cubismo.
La sperimentazione e la ricerca, lo studio e i ripensamenti fanno parte di questa lunga e travagliata catena per arrivare a definire un pensiero.
Il taglio di Lucio Fontana non è un semplice gesto compiuto con una materiale precisione e facilità nell’esecuzione, è la simbologia di tutto quello che il passato ha costruito e che il contemporaneo ha spazzato e fatto.
Una sola spaccatura per segnare un percorso tra quello che c’è stato e quello che avviene, quanto sarò costato in termini emotivi e razionali il pensiero così adotto dall’artista? Secoli! Perché per arrivare a completare il gesto si è dovuti passare per decenni di storia dell’arte, da artisti a movimenti, da lotte e conflitti fino a decretare la “morte dell’arte” per una “rinascita”.
Quindi, in tutti i dibattiti creativi si arriva a pensare e a ridiscutere quello che si realizza, non è una questione di poca sicurezza o incertezza nell’esecuzione, la creatività non è mai paga e mai ferma.
Sembrerà banale, ma fino a che un gesto si tramuta in azione artistica nulla si placa e tantomeno l’animo di chi concretizza l’azione in arte.
Nelle professioni in cui è richiesta la fantasia e la capacità di mettere in moto emozioni e pensieri è sempre necessario mettersi in discussione, mai fermarsi e soprattutto continuare e perseverare nelle intenzioni.
I sogni si trasformano in segni, la materia si plasma in forma e le idee si concretizzano tra colpi di pennello e nuovi materiali.
È l’atto creativo che lascia lo spazio alle cose e si insinua poi, attraverso gli occhi, nei pensieri costanti di chi vede, è innegabile che la visione di un’opera d’arte susciti un’emozione allo stato puro così come è evidente che il gesto creativo non sia mai univoco e a tutti possa piacere.
Ripensamenti, errori, correzioni, momenti in cui il “gesto creativo” diventa crisi, bocconi amari, cancellazioni e ritrovamenti, tutto concerne e converte verso quell’unico atto dato dalla creazione e dalla voglia di lasciare un’azione nel flusso del tempo.
Arte è amarezza, è sofferenza, è tormento prima che esplosione di pura gioia, è voler vedere il proprio sforzo appagato e riconosciuto, anche se fosse solo un gesto, un taglio che squarcia il tempo o una tela.
Arte è tutto ciò, per questo motivo l’uomo ne ha bisogno.