“Per vedere i tesori, ci vogliono occhi che li sappiano guardare,
che li vogliano cercare e che si aspettino di trovarli”
(Anna Marchesini)
a Chiara, perché sia sempre “obesa” di vita!
Cara Anna,
si si… lo so! Sei sorpresa.
Stupita di questa lettera vero? Beh un poco lo sono anch’io, non avrei mai pensato di doverla scrivere, almeno non così presto.
Presto perché il tempo sembra volato via mese dopo mese e spesso mi dimentico di dichiarare quanti anni ho visto che il tempo fa i conti più velocemente rispetto alla realtà anagrafica che ci si sente.
Mica mi sento vecchio! A quindici anni guardavo i quarantenni e pensavo fossero avanti secoli a me, ma il passo è stato breve e ora sono io ad averne più di quaranta.
Ma in fondo mi sento ancora quel ragazzino degli anni Ottanta che andava alle superiori frequentando l’Istituto d’Arte che, pieno di sogni e di cose da dire, prendeva la corriera, frequentava discoteche e coetanei ed era nel bel mezzo di diversità generazionali, in piena tempesta ideologica ed ormonale.
Voglioso di vita. E, soprattutto, di capire questo mondo di “grandi” che di lì a poco lo avrebbe accolto non più ragazzino ma uomo.
Piano piano ho capito cosa avrei voluto fare da grande, ho cominciato a scegliere le cose che mi piacevano e altre le ho evitate, ho visto crescere e cambiare un mondo che ora, se guardo al passato, mi fa tenerezza e nostalgia.
Cara Anna,
oggi scrivo per darti un saluto, magari un abbraccio e malinconicamente ripenso, ma senza rimpianti, a quel ragazzino che si divertiva a scoprire i colori e le forme, che cominciava a mettere il naso sulla storia dell’arte, che scopriva un mondo fatto di mostre e artisti mentre io, curioso, mi accorgevo che fuori dai miei prati e dalle campagne dove ero nato c’erano altre cose da scoprire: la città, le lingue differenti, le mostre d’arte, gli inevitabili ostacoli nel voler realizzare le cose…
Una serie di novità che sconvolgevano di non poco la mia giovane vita si stavano affacciando: i turbamenti e gli amori, i pianti e le risate, i primi veri amici, i primi dubbi, le prime contestazioni e prese di posizioni, le idee politiche, le discussioni e, per un adolescente dell’epoca, la voglia di scoprire il corpo ed altri corpi e il sesso!
Dio si, eccome, il sesso!!! Dove tutto era una continua scoperta grazie a quel “giocattolo” che si stava imparando ad usare, quel “malloppetto ciccioso” posto tra le gambe così come lo descrivevi tu nei panni di Merope Generosa, la sessuologa; gli incontri con le “Belle Figheire” e avventure da capire nonostante né io né altri si sapesse e capisse che cosa si andasse cercando, anche se pure io “che siccome che sono cecato!” di sicuro proprio proprio stupido (e brutto!) non lo ero…
Cara Anna,
ma lo sai che per causa tua e delle tue risate mi sono quasi beccato Chimica a scuola come materia da riparare agli esami a settembre? Riparare? E si, termine che non si usa più, ora ci sono i “debiti”, ma ai miei tempi (e così mi sento l’uomo bicentenario del secolo scorso…) se non studiavi potevi essere bocciato e non certo supportato da psicologa, psicoterapeuta, insegnante di sostegno, insegnante privato, avvocato, analista e alla fine dai genitori, causa e sviluppo di ogni uomo in ogni società.
Non sai le cose? Ti boccio! E per colpa tua quasi ci cascavo sai? Eh si!
Colpa della Rai e de “I Promessi Sposi” trasmessi il mercoledì sera su Rai Uno con conseguente scambio di battute e risate il giovedi mattina.
Qui, a causa tua e Massimo Lopez e Tullio Solenghi, le prime due ore di scuole invece che essere dedicate allo studio delle materie scientifiche, Chimica appunto, erano usate per ridere e ripetere le tue, le vostre battute e a cantare la sigla finale (io lo facevo anche in corriera tornando a casa con Meri!): “Lucy sweet Lucy… dont forget love me … in my mind yes in my mind, i ask for you… i love you… questa storia che io vivo accanto a te…momenti di tristessa momenti di allegressa“.
E il povero professore poteva spiegare quanto voleva ma noi ci si divertiva e si rimaneva distratti…
Non c’era speranza! Neppure poi per la povera Lucia, sempre spaventata e urlante e per il tontolone di Renzo nella rivisitazione manzoniana proposta.
Cara Anna,
la tua intelligente ironia non ha nulla a che fare ora con le battute volgari e ripetute allo stremo di tanti comici odierni, basta un tormentone, un paio di risate finte e il gioco viene spremuto, poi? Poi nulla, si perde tutto nel calderone mediatico a favore di altri tormentoni e comici che hanno poco da dire a dare, salvo rari casi.
“Il Giardino dei ciliegi“, così come tutto il teatro impegnato, l’ho rivisto secondo un’ottica spensierata e trattengo le risa ancora oggi quando ripenso al disperato personaggio principale al quale tu facevi da contraltare, momenti lenti e parole seguite da gesti enfatici e nel bel mezzo la sdrammatizzata frase: “ma fatevi una canna!”, già, chissà quante cose avrebbe risolto il protagonista se il consiglio fosse stato seguito.
Come potevo non essere chiamato in causa quando recitavi poi il personaggio della Sora Flora? Specie quando quest’ultima, affacciata al balcone a chiacchierare e spettegolare con le vicine, ogni tanto cacciava un urlo al figlio: “Massimiliano, ven’a ‘ffà le cómpete!”
La scuola, la fatica, la gavetta, la quotidianità sono queste le veri armi che sono arrivate alla comicità e al cuore di tutti.
L’attricetta cagna che non sa entrare in scena e che ripete il copione a pappagallo in modo ripetitivo e confonde tempi e battute, esperienze di vita vissuta? Attenta osservatrice? Entrambi i casi forse, e, infatti, indimenticabile l’incipit di tanta ironia con il personaggio della cameriera secca che comincia con un: “Salveee! Sono la cameriera secca dei signori Montagné!” capace, solo lei, di incastrarsi con la lingua nei dire agli ospiti “si accomodino” e, infatti, dice arrotolandosi nelle parole: “si accomodono” ma, per risolvere poi stremata, alla fine con un “Venghino pure!“, ricordi che mi portano a pensare alla mia amica Chiara, quante volte lo abbiamo rifatto questo sketch?
Si, lo so! Me lo sto ripetendo ancora una volta mentalmente: l’ho imparato a memoria questo pezzo! Pure magia e recitazione eccelsa, risate e soprattutto studio che ha permesso a te, come attrice, di portare in scena oltre un centinaio di personaggi.
Cara Anna,
ma lo sai che ripensandoci un poco lo si deve anche a te se la mia generazione ha capito che per ridere di se stessi bisogna imparare? Imparare e conoscere la materia, leggere, essere sempre felici e “obesi di vita”, di voglia di non fermarsi e continuare, di sognare sempre perché in un cassetto i pensieri muoiono, fuori invece vivono.
Il ventennio tra gli Ottanta e i Novanta, sono stati anni importanti nell’arte contemporanea, pieni di colore e di sperimentazioni, anni di passaggio tra il vecchio e il nuovo secolo e hanno segnato il mio amore per quello che un giorno avrei voluto fare crescendo: ce la farò? Che ne sarà di me e dei miei compagni? Cosa faranno i miei amici? Cos’era l’arte di allora? Si parlava di Graffitismo, di Keith Haring, Jean-Michel Basquiat, Jeff Koons, degli artisti della Transavanguardia, delle riscoperte in grandi mostre di Paul Klee e di Wassily Kandinsky, di Body Art e Videoinstallazioni, di perfomance.
Per me sono stati gli anni delle mie prime Biennali d’Arte a Venezia, del primo treno preso per andare a Milano a vedere una mostra, dei primi soldi spesi per comprare un catalogo d’arte.
Spesso poi, col tempo, ho rivisto nelle persone incontrate in maniera inconscia i personaggi che avevi creato cara Anna: l’intelletual chic un poco impostato mi ricordava Merope Generosa; qualche first lady del momento che citava inconsapevolmente una Bella Figheria, ma quasi sempre bella fuori ma coinvolgente come un “ciocco duro e inespressivo“; sperdute signore, pardon, “signorine” Carlo cecate che, all’apertura del buffet, ci vedevano benissimo e ci si apprestavano “precipitandovicisi” senza freni; “sbalconate” strafatte di chissà che cosa e di ego che ti fissano senza espressione per esordire barcollando a destra e a sinistra con un “cioè, tu non puoi capire…”.
Si, figli e figlie di un’epoca che tu hai interpretato e capito con i tuoi personaggi e li hai semplicemente restituiti al pubblico che ne rideva, perché in fondo rideva di se stesso e dei propri difetti.
Cara Anna,
lo so che stai pensando “ ‘mazza quanto parla questo! Suonasse il campanello!“, hai ragione, ma come potevo io, adesso, anche se sconosciuto e lontano, non fermarmi a rivedere i tuoi spezzoni teatrali e televisivi su youtube, in dvd e videocassetta e rileggere qualche pensiero tratto dai tuoi libri? Come potevo non ricordarti cara Anna Marchesini?
Te lo dovevo, me lo dovevo. No no, niente rimpianti o pensieri alla tua devastante malattia, alla scomparsa improvvisa, solo ricordi sereni, appunto, “obesi di vita”!
In fondo, cara Anna, insieme alla fatica, allo studio (parola ripetuta più volte ma necessaria) ci stanno vagonate di risate fatte in tutti questi anni, perché nella vita puoi essere ciò che vuoi, puoi diventare ciò che desideri, ma senza curiosità e ironia si resta soli nel proprio piccolo mondo, affacciati ad un balcone con qualcuno alle spalle che urla con coscienza: “Massimiliano, ven’a ‘ffà le cómpete!”
Il mio compito l’ho fatto, finito e ora lo consegno, legato a tanti ricordi, a tanti amici e cose passate, il cassetto si è aperto e ne sono usciti sogni: per te lo fu l’ironia fatta con intelligenza e cultura, per me ora è l’arte, per chi legge solo forse un altro pensiero che si aggiunge ai propri sogni e alle proprie attese da realizzare o già concretate.
Cara Anna, un’ultima parola: grazie.
Perché ridi? Stai forse pensando: “Quanto m’attizza st’omo!” oppure “E dai che ti ridai..” siamo arrivati alla fine? Si! “Virgolina, virgola, punto e virgola, punto, due punti e tié!”
Ah, il campanello suona, che fortuna e?
Con affetto
il figlio della serva…dei signori Montagnè!